Si sono chiusi da pochi giorni gli incontri del World Economic Forum (WEF) tra più di 50 capi di Stato, organizzazioni internazionali e imprenditori nella località alpina svizzera di Davos[1]. Il tema della conferenza di quest’anno è stato “Cooperazione in un mondo frammentato“, con riferimento alle molteplici crisi e tensioni geopolitiche che attualmente scuotono il mondo mentre la guerra della Russia in Ucraina entra nel suo secondo anno.

E’ stato presentato il rapporto sul rischio globale del WEF che si è concentrato sui cambiamenti climatici. Il cambiamento climatico è la principale sfida a lungo termine che l’economia globale deve affrontare, ma i governi non sono pronti ad affrontarlo, afferma il World Economic  Forum nel suo rapporto annuale sui rischi globali.

Nei prossimi due anni, la classifica dei rischi globali sarà dominata dalla crisi economica e sociale del costo della vita. Ma guardando al prossimo decennio, il fallimento dell’azione per il clima occupa il primo posto, con sei rischi ambientali presenti nella top 10. Tra questi, il più urgente è l’incapacità di mitigare i cambiamenti climatici, segue l’incapacità di attuare un’efficace strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, e il crescente verificarsi di disastri naturali causati dal riscaldamento globale. La mancanza di progressi sull’azione per il clima ha messo in luce la divergenza tra ciò che è scientificamente necessario per raggiungere emissioni nette zero e ciò che è politicamente fattibile.

L’attuale crisi del costo della vita farà sì che le risorse dei settori pubblico e privato saranno distolte dagli sforzi climatici nei prossimi due anni, mentre si sottovaluta il degrado degli ecosistemi naturali. Secondo questo rapporto “La perdita di natura e il cambiamento climatico sono intrinsecamente interconnessi: un fallimento in una sfera si riverserà nell’altra” (si veda I limiti dell’accordo Cop15 sulla biodiversità – FOCSIV). Senza cambiamenti significativi, l’interazione tra gli impatti del riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, la sicurezza alimentare e il consumo di risorse naturali accelererà.  Ciò si ripercuote in un aumento della povertà e delle disuguaglianze a livello internazionale e all’interno dei paesi, mentre non si riconosce il debito ecologico dei paesi più ricchi e la crescente ingiustizia intergenerazionale (vedi Le disuguaglianze ambientali – Chiudiamo la forbice)

Le discussioni dunque sono state fortemente legate ai cambiamenti climatici, e gli attivisti hanno contestato il greenwashing che gli amministratori delegati delle compagnie petrolifere e del gas portano avanti trovandosi fianco a fianco con i leader globali.

“Davos è ovviamente dominata da un ricco gruppo di persone”, ha detto l’attivista ugandese per il clima Vanessa Nakate. “Gli amministratori delegati del settore petrolifero e del gas sono invitati al forum per fare greenwash delle loro attività. Non è difficile essere cinici riguardo alle prospettive di giustizia climatica dopo aver trascorso una settimana al Forum”, ha aggiunto.

Secondo una ricerca pubblicata recentemente dalla rivista Science, la major petrolifera statunitense ExxonMobil ha pubblicamente minimizzato il cambiamento climatico per decenni, nonostante le prove dei suoi stessi scienziati che avevano fatto previsioni accurate sul riscaldamento globale già dalla fine del 1970.

Gli attivisti, tra cui Nakate e Greta Thunberg, hanno portato una lettera di “cessazione e desistenza” agli amministratori delegati di petrolio e gas, chiedendo di fermare qualsiasi nuovo progetto di petrolio e gas. “Se non agisci immediatamente, tieni presente che i cittadini di tutto il mondo prenderanno in considerazione qualsiasi azione legale per ritenerti responsabile. E continueremo a protestare per le strade in gran numero”, dice la lettera (si veda anche Partecipare al cambiamento contro la disuguaglianza e il cambiamento climatico – Chiudiamo la forbice).

Thunberg ha dato la colpa all’élite globale per aver inseguito profitti a breve termine, dicendo che è “assurdo” che il mondo ritenga di ascoltare i delegati di Davos piuttosto che quelli sulla lotta contro la crisi climatica. “Siamo proprio ora a Davos, dove fondamentalmente le persone che stanno alimentando principalmente la distruzione del pianeta, le persone che sono al centro della crisi climatica, le persone che stanno investendo in combustibili fossili eccetera, eccetera, sono le persone su cui sembriamo fare affidamento per risolvere i nostri problemi, “

Gli attivisti hanno annunciato che aumenteranno anche la pressione sulle nazioni ricche per chiedere maggiori finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo, proprio per rispondere alla crescenti disuguaglianze. La COP27 di Sharm-el Sheick ha visto un accordo “storico” per istituire un fondo per far fronte alle perdite e ai danni provocati nei paesi più poveri e vulnerabili dal cambiamento climatico, ed è stata lanciata l’iniziativa Bridgetown che mira a riformare l’infrastruttura finanziaria globale per affrontare i cambiamenti climatici. Ma il divario nei finanziamenti per il clima è ancora grande.

A Davos si sono inoltre ascoltati discorsi contraddittori. Nell’Unione europea, l’impegno a decarbonizzare è stato messo in discussione dalla crisi energetica, portando a una maggiore dipendenza dai combustibili fossili per sostituire il gas russo.

Ci sono state dichiarazioni come: “siamo ancora impegnati verso l’obiettivo di emissioni nette zero nel 2050, ma dobbiamo gestire questa transizione e tenere conto dell’accelerazione del costo della vita, quindi dobbiamo mantenere gli investimenti nei combustibili fossili”. Dichiarazioni confermate per l’Italia dal recente viaggio del Governo e dell’ENI in Algeria. Ma non è possibile conciliare l’impegno per lo zero netto con gli investimenti in nuovi progetti di combustibili fossili (vedi Seven new oil and gas projects approved since IPCC report called for an end to fossil fuels | Euronews).

Secondo Rachel Kyte, accademica britannica e preside della Fletcher School della Tufts University: “La colpa non è solo dei leader aziendali. Alcuni possono essere ben intenzionati ma sono frustrati perché l’azione del governo è lenta nel dare certezza normativa, costringendo a “inventare volontariamente delle regole mentre andiamo avanti”.

In conclusione il Forum di Davos ha rappresentato l’ennesimo impasse tra governi e grandi imprese che retoricamente continuano a rilanciare impegni per far fronte al cambiamento climatico, senza considerare l’ingiustizia climatica perché significherebbe rinunciare al loro potere. E quindi non riescono a superare le contraddizioni di fondo e la lentezza del procedere nella transizione. E’ evidente come ci sia uno scontro tra il potere di continuare a fare profitti con le fonti fossili piuttosto che con le fonti rinnovabili, tra il potere di alcuni paesi ad assicurarsi approvvigionamenti necessari per mantenere il proprio tenore di vita, e il potere dei popoli più poveri e vulnerabili a migliorare il loro, tra il potere delle vecchie generazioni di continuare a sfruttare le risorse naturali come sempre, e il potere delle nuove e prossime generazioni di assicurarsi un ambiente salubre e bello.

Sembra essere un gioco a somma zero tra chi ci guadagna e chi ci perde, tra chi deve fare sacrifici e chi invece pensa di guadagnare nella transizione, mentre occorrerebbe cercare soluzioni dove “tutti vincono” guardando al bene comune e non alla salvaguardia delle proprie rendite di posizione. Un approccio riformista solitamente promosso dalle Nazioni Unite, che però sono sempre più depotenziate nella nuova competizione geopolitica multipolare. Il quadro è quindi complicato, e occorre farsi sentire. La voce dal basso dei giovani, dei movimenti e delle chiese locali che lottano per la giustizia climatica deve continuare a crescere e a chiedere il rafforzamento delle Nazioni Unite, la loro riforma, per assicurare i diritti umani a tutti e tutte, a cominciare dai più vulnerabili e marginali ,così come i diritti della natura (vedi La voce africana: nessuna giustizia climatica senza giustizia per la terra – Chiudiamo la forbice)


[1] Si veda A Davos, gli attivisti mettono in guardia contro l’inazione climatica e il greenwashing – EURACTIV.com, e L’incontro di Davos del 2023 termina tra le proteste per il clima (aa.com.tr)

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