Negli ultimi anni l’attenzione pubblica e politica, italiana ed europea. è stata fagocitata dall’ossessione delle migrazioni. Il tema è diventato la bussola delle campagne elettorali. Il futuro dell’Europa sembra tragicamente legato alla sua capacità di gestire, o meglio, respingere le migrazioni. Questo dibattito cieco e di cortissimo respiro non permette di ragionare con maggiore consapevolezza su questioni fondamentali che segneranno veramente il nostro futuro. E in particolare, la triade cambiamento climatico, migrazioni e disuguaglianza, si presenta come una questione che avrebbe bisogno di una maggiore attenzione per discutere di politiche e comportamenti sociali ed individuali.

 

Partiamo da un dato: dal 2008 al 2014, oltre 150 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi. Tra le cause che costringono famiglie e comunità ad abbandonare le proprie abitazioni ci sono soprattutto tempeste e alluvioni. Tra il 2008 e il 2014, secondo IDMC (InternalDisplacement Monitoring Centre), questi fenomeni hanno rappresentato l’85% della cause degli sfollamenti per motivi ambientali, seguite dai terremoti. Sempre l’IDMC ha calcolato che oggi le persone hanno il 60% per cento in più di probabilità di dover abbandonare la propria casa di quanto non ne avessero nel 1975. 

Aumento delle temperature dell’aria e della superficie dei mari, cambiamento delle precipitazioni (frequenza, intensità); innalzamento del livello dei mari causato dalla fusione dei ghiacci; amplificazione di eventi “regionali” come il Nino e i monsoni asiatici, stanno portando ad un crescente impatto sugli equilibri naturali e sulle popolazioni. Le risorse naturali (terra, acqua, biodiversità) sono sempre più stressate e la loro disponibilità si riduce. Di conseguenza aumenta anche la competizione tra Stati e imprese per il loro controllo e utilizzo. Competizione che già causa e acuisce tensioni e conflitti, e quindi provocare nuove migrazioni forzate.

Lo scenario più estremo studiato dall’ International Panel on Climate Change (IPCC) prevede entro il 2100 un incremento dell’innalzamento del livello dei mari di 98 cm. James Hansen, eminente climatologo già direttore del Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA, prevede un possibile aumento del livello del mare di 5 metri entro cinquanta anni, se si raggiungessero e superassero i 2°C di aumento della temperatura. Ciò vorrebbe dire l’inondazione della maggior parte delle città costiere. Per i piccoli stati insulari e le regioni dei delta dei fiumi, l’innalzamento del livello dei mari potrebbe avere conseguenze catastrofiche, soprattutto se associato all’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi come i tifoni. Con un aumento delle temperature di 4 gradi, sarebbero a rischio il Mediterraneo, il Nord Africa e il Medio Oriente, ma anche i paesi dell’America Latina e i Caraibi. A essere colpite anche tutte le attività economiche umane, a partire dall’agricoltura.

E’ purtroppo facile prevedere che questo porterà intere popolazioni a subire enormi difficoltà nel soddisfacimento dei bisogni elementari, specie se alla scarsità delle risorse e alla gravità dei fenomeni meteorologici estremi si assoceranno conflitti per il controllo delle risorse, aumento della violenza e disgregazione sociale. Le più colpite saranno le comunità e i paesi più poveri, quelli più fragili ed esposti ai rischi, che non hanno risorse per garantire il diritto ad una vita dignitosa al riparo dai cambiamenti climatici.

Il fenomeno migratorio è complesso e le cause sono interagenti (in Siria questioni politiche si sono intrecciate con la più forte siccità degli ultimi 40 anni). Gli effetti del cambiamento climatico interagiscono infatti con altre variabili, di tipo socio-economico, così come con le politiche di uso del suolo e di gestione delle risorse naturali, tra cui in particolare quella idrica, sempre più scarsa ed inquinata. 

Tra le variabili socio-economiche quelle della iniquità e della disuguaglianza assumono una rilevanza speciale e centrale. I ceti e i paesi più ricchi, che sono la principale causa del cambiamento climatico con sistemi produttivi e di consumo insostenibili, stanno adottando misure per proteggersi dal cambiamento climatico, al contrario le popolazioni più povere sono purtroppo molte volte emarginate e “scartate”, pur essendo le meno responsabili del cambiamento climatico.  Esiste un debito ecologico delle popolazioni con stili di vita e sistemi consumistici insostenibili nei confronti delle popolazioni più povere. Ma questo debito non viene riconosciuto: i fondi per sostenere le capacità delle popolazioni più povere di adattarsi al cambiamento climatico sono largamente insufficienti, e gli impegni dei paesi ricchi presi anche con l’Accordo di Parigi sono insoddisfatti.

Contemporaneamente politiche cieche ed irresponsabili che consentono la cementificazione del suolo, pratiche agricole che riducono la capacità del terreno di assorbire l’acqua, e l’accaparramento di terre, land grabbing”, sono destinate ad amplificare gli effetti dei cambiamenti climatici, ponendo le premesse per migrazioni forzate. Viceversa dovrebbero essere sostenute politiche di mitigazione dell’emissione di gas serra, di protezione dell’ambiente, di transizione giusta verso un’economia decarbonizzata e circolare.

Le ricerche individuano diverse forme di spostamento delle popolazioni: migrazioni di carattere internazionale per fenomeni di carattere permanente (desertificazione e degrado delle risorse naturali) con lo spostamento di interi nuclei familiari; sfollati interni e profughi a livello internazionale a causa di calamità naturali improvvise (alluvioni e siccità); ricollocazione di intere comunità per ridurre la loro esposizione a grandi rischi naturali e climatici. Gli studiosi sottolineano inoltre che le migrazioni sono un modo per adattarsi al cambiamento climatico e che quindi non vanno combattute ma regolate e rese sicure con piani ad hoc.

In questo quadro si chiede alle istituzioni  e si propone alla società civile una riflessione sugli strumenti legali e sulle politicheinternazionali e nazionali: affinché non siano discriminanti verso le persone in difficoltà o che hanno necessità di spostarsi,  ma riconosca il diritto ad una vita dignitosa di chi fugge dai sempre più frequenti disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici; occorre creare nuovi regimi per regolare e rendere sicure e ordinate le migrazioni a livello internazionale e regionale, fondati sul riconoscimento dei diritti dei migranti, e collegati a piani di adattamento al cambiamento climatico, di accoglienza e integrazione nel rispetto delle comunità locali.

Per questo in Dicembre 2018, gli Stati dell’ONU. oltre alla COP24 sul clima, si troveranno in Marocco per approvare il Global Compact sulle Migrazioni. Questo nuovo accordo impegna gli Stati a far fronte al cambiamento climatico, a sostenere i piani di adattamento dei paesi vulnerabili e politiche per la gestione ordinata e sicura delle migrazioni.Contemporaneamente a Katowice in Polonia, si terrà la COP24 sui cambiamenti climatici, nel cui ambito si discuterà di “loss and damage” ovvero del loro impatto in termini di rischi e danni sull’ambiente e le popolazioni, e che possono provocare, tra l’altro, lo spostamento di persone. Anche in COP24 si è avviato dunque il dibattito politico su che regole e politiche adottare per gestire le migrazioni ambientali. 

Questi processi internazionali (a cui l’Italia partecipa) non toccano assolutamente il nostro dibattito quotidiano, ridotto a una presunta questione di sicurezza sulle migrazioni. Sembra di vivere su due piani completamente distinti e che, drammaticamente, non convergono. Compito di questa campagna è quindi anche quello di cercare di infrangere questa separazione per promuovere un discorso più approfondito e consapevole.

I cambiamenti climatici, le ricadute sulle popolazioni più vulnerabili e le conseguenti migrazioni sono al centro di In Cammino per il Clima” organizzato da FOCSIV – Volontari nel Mondo, per l’itinerario italiano, e guidato da Yeb Sano, ex – ministro ed ex-negoziatore per i cambiamenti climatici della Repubblica delle Filippine, che sta attraversando, in questi giorni l’Italia alla volta di   Katowice per la Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima (COP24) di Dicembre.

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