L’8 marzo non è una festa. Perché una festa presuppone gioia e lustrini, come ricorda la sua derivazione latina da festus, vale a dire felice. L’8 marzo è innanzitutto un giorno in cui fare ed essere memoria. L’8 marzo è la Giornata internazionale della donna, questo il suo vero nome, nata in ambito socialista e dedicata alle battaglie di cui le donne furono protagoniste, in primissima linea, dagli inizi del Novecento in varie parti del mondo. Una giornata fortemente eversiva, con un portato sociale e politico significativi, volto alla messa in discussione di un potere di stampo maschile: anzi patriarcale, perché culturalmente sordo e cieco alle istanze di giustizia e uguaglianza delle donne. Donne private della loro dignità di persone, e declinate per lo più come funzione: di madri, mogli, figlie. Una lente d’ingrandimento sociale pericolosa quest’ultima, che impediva una considerazione olistica della presenza femminile nella società, nella politica, nel lavoro, nel mondo.

L’8 marzo è inoltre un’occasione per fare chiarezza, anche sull’istituzione della stessa giornata. Celebre è infatti la narrazione secondo la quale l’8 marzo sarebbe di fatto una commemorazione funebre: in ricordo delle 123 donne (soprattutto immigrate, italiane e ebree) morte per l’incendio avvenuto nella fabbrica di camicie Triangle, a New York, il 25 marzo 1911. Un errore storico che ha avuto molta fortuna e che ha permesso di trasformare una giornata, nata per la celebrazione del potere e l’iniziativa delle donne, in un mausoleo temporale che evoca una tragedia tutta al femminile. Quasi fosse più facile nell’immaginario collettivo, percepire una donna come vittima, piuttosto che come protagonista.

Quindi l’8 marzo non è una commemorazione e tanto meno una festa. Anche perché, da festeggiare, in questi tempi di Covid c’è ben poco. Soprattutto per le donne.

La pandemia infatti da due anni ferisce tutto il globo e, come un bisturi, ricalca approfondendo i confini delle diseguaglianze aumentando le vulnerabilità in ambito sociale, politico e nei sistemi economici. Emerge con sempre più chiarezza come questi sistemi sia nei paesi ricchi che in quelli impoveriti, siano iniqui in termini di fallimentare accesso alla sanità, di mancanza di programmi di sicurezza e di protezione sociale; ma anche a livello culturale e fattivo nel rapporto tra uomini e donne. Scrive Papa Francesco nella recente Enciclica Fratelli tutti “[…] l’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio. È un fatto che doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti […]” (Par. 23, Fratelli tutti). Questo sta avvenendo ora, in modo particolare con la pandemia.

Tra gender gap uomo-donna e Covid19 sussiste infatti una relazione. I vari report (in particolare i più recenti realizzati da di ILO e dalle Nazioni Unite) sull’impatto pandemico nella popolazione mondiale, hanno rivelato che sono le donne a subire le peggiori conseguenze sociali ed economiche. Eppure il genere femminile è stato in prima linea nella lotta contro la pandemia: solo in Europa il 76 % del personale dei servizi sanitari e sociali e l’86 % del personale che presta assistenza alle persone è costituito da donne. Certamente quando si parla di Covid, gli effetti in termini di salute sono sicuramente i principali e i più evidenti; effetti fra i quali risaltano i numeri drammatici dei contagi, l’insidiosità della malattia e la sua diffusione, oltre che la pressione senza precedenti sui sistemi sanitari a livello internazionale. Ma tali effetti non sono gli unici, soprattutto nella vita delle donne. Come analizzato dai recenti studi messi in opera da grandi organizzazioni quali UN Women, ILO, Linkedin, Ipsos, il Covid-19 ha impattato il genere femminile sotto una molteplicità di aspetti quotidiani, che spaziano dal lavoro economico a quello di cura, quest’ultima da sempre percepito come prerogativa femminile; al cosiddetto digital divide che vede una quota significativamente elevata di donne, escluse dal sempre più importante mondo digitale; fino arrivare all’ambito educativo, e nello specifico alle discipline STEM ( Science, Technology, Engineering and Mathematics) dove la lotta allo stereotipo di genere per cui i maschi sarebbero naturalmente più “portati” per le materia scientifiche, ha subito in tempi pandemici un’importante battuta d’arresto. Sono tutti segnali tristemente significativi, che rimandano a un peggioramento del quadro globale del gender gap fra uomo e donna, secondo quanto dipinto dal Global Gender Gap Report 2021 redatto dal World Economic Forum; per cui se prima della pandemia sarebbero stati necessari 99.5 anni per colmare il divario di genere nel mondo, ora ne occorrono ben 135.6.

La brevissima panoramica femminile finora tratteggiata, contribuisce a rinforzare il concetto che l’8 marzo non è una festa. E Caritas Italiana sceglie di celebrare la Giornata Internazionale delle donne 2022 attraverso un dossier tematico, che ha l’obiettivo di raccontare e analizzare i molteplici aspetti dell’impatto del Covid19 sul genere femminile a livello mondiale; un focus, nello specifico sarà dedicato alla condizione delle donne nei paesi del Medio Oriente, in particolare alle donne siriane: vittime troppe volte, della pandemia, della povertà, della violenza e della guerra il cui anniversario dell’undicesimo anno di conflitto, ricorre pochi giorni dopo la Giornata Internazionale delle donne, il 15 marzo.

L’8 marzo, però, può essere anche un momento per celebrare il ruolo centrale che, nonostante le numerose sfide e l’acuirsi delle disuguaglianze, le donne hanno avuto nel contrasto alla pandemia, pilastri delle famiglie e delle comunità, in prima linea per prendersi cura, sensibilizzare, prevenire, curare, fornire mezzi di sussistenza, costruttrici di dialogo e di speranza.

La pandemia rappresenta dunque una sfida per il mondo intero, per i sistemi sanitari, e più in generale, per i sistemi economici e sociali e a livello culturale e antropologico, dove persistono forti discriminazioni contro il genere femminile. Rappresenta questa crisi uno stress test per il nostro sistema umano e dello spirito che lo anima. “Il nostro mondo ha bisogno del partenariato delle donne, della loro leadership e delle loro capacità, così come della loro intuizione e dedizione” ha affermato Papa Francesco salutando il Women’s Forum G20 Italy, avente l’obiettivo di individuare priorità e linee guida per una ripresa economica e sociale post Covid basata sull’inclusione, ponendo al centro della ripartenza le donne. Una ripartenza che, si spera, possa essere in grado di portare a un mondo più equo e solidale alle crisi future; una ripartenza che dovrà essere rivoluzionaria, perché capace di agire una profonda trasformazione sulle resistenze di quei modelli culturali patriarcali, basati sul possesso e sullo sfruttamento del genere femminile.

Qui è possibile scaricare il dossier Caritas. A questa pagina è reperibile una breve presentazione del dossier.