Di Fabrizio Cavalletti, Caritas italiana

Se da un punto di vista sanitario l’Africa resta il continente apparentemente meno colpito dal virus, seppur con un’evoluzione ancora incerta e a macchia di leopardo tra i diversi paesi, i suoi effetti sul piano economico e sociale stanno esacerbando squilibri e fragilità pre-esistenti e aggravando le molteplici  crisi dovute a  conflitti e catastrofi ambientali. Per comprendere la pandemia in Africa, più che in altre regioni del mondo, l’attenzione va posta su aspetti correlati a questioni già al centro dell’Agenda di tante emergenze umanitarie: insicurezza alimentare, mancanza di forniture mediche, perdita di reddito e mezzi di sussistenza, difficoltà nell’applicazione di misure sanitarie e di distanziamento fisico, un’incombente crisi del debito, rischi politici e di sicurezza.

L’impatto del covid-19 in Africa è paradigmatico di come le condizioni di vulnerabilità pre-esistenti rendono la pandemia profondamente diseguale nei sui effetti rendendo il numero dei contagi un dato insignificante per coglierne la reale portata in contesti fragili. Ciò riconduce nuovamente alle profonde ingiustizie globali che contraddistinguono questo nostro mondo, che determinano ampie differenze nella capacità di assorbimento di eventi come quello che stiamo vivendo. Il virus non colpisce tutti allo stesso modo, ancora una volta gli ultimi della fila ne pagano il prezzo maggiore e di più lunga durata.

L’effetto dirompete del covid-19 sul prodotto interno lordo africano può portare allo stallo e aggravare le disuguaglianze strutturali storiche nella maggior parte delle economie africane. L’ECA (Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite) ha già pubblicato delle proiezioni secondo le quali nell’ipotesi migliore il calo sarà dell’1,1%. Gli scenari peggiori prospettano invece, una contrazione fino al 2,7% che significherà la perdita di mezzi di sussistenza per circa 19 milioni di persone.  In gran parte dei paesi le persone si guadagno da vivere  attraverso l’economia informale, senza nessuna assicurazione o ammortizzazione sociale su cui poter contare in caso di crisi. Allo stesso tempo, molte aziende soprattutto le piccole imprese, stanno esaurendo le riserve per mantenersi, sprofondando in una crisi di liquidità e innescando una recessione severa in cui la perdita di posti di lavoro e l’esaurimento della ricchezza sono iniziate prima dell’impatto sulla salute. Uno dei settori economici più colpiti è il turismo, dal quale in Africa dipendono 6,2 milioni di persone. Altro aspetto è quello delle rimesse dei connazionali che vivono all’estero e che prima della pandemia incidevano in positivo fino al 10%. Ora, con la crisi economica mondiale, la Banca Mondiale stima che i flussi delle rimesse dall’estero in Africa sub sahariana caleranno del 23%, con una perdita di circa 37milioni di dollari totale. Un’ influenza significativa l’avranno anche le risorse naturali. Si pensi solo al calo di entrate dovuto alla riduzione delle esportazioni del petrolio, stimato in 65 miliardi di dollari. Il tema è importante non solo per le conseguenze economiche, ma anche in ordine alle storiche ed annose questioni che spesso legano le ricchezze naturali a tensioni e conflitti, che rischiano di inasprirsi. Vi è poi l’impatto sull’educazione: 330 milioni di studenti non stanno più andando a scuola e 8,5 milioni di insegnanti non ha potuto proseguire l’insegnamento, con interruzione dello stipendio fonte di reddito per l’intera famiglia, né tanto meno la propria formazione. La didattica a distanza non è possibile in modo diffuso tenendo conto che  il 90% degli studenti non ha e non può avere un computer a casa e l’82% non ha accesso alla rete internet perché non può  permetterselo o perché non ha accesso all’elettricità. Inoltre la chiusura delle lezioni accresce l’insicurezza alimentare per milioni di studenti dato che in Africa spesso è a scuola che si ha un pasto giornaliero garantito.

Non da ultimo il continente africano detiene il primato delle così dette crisi protratte, ovverosia crisi umanitarie che perdurano da anni dovute a conflitti o a shock climatici ricorrenti. Un caso esemplare è il Sud Sudan che il 9 luglio ha festeggiato il nono anno dall’indipendenza dal Sudan e dove negli ultimi cinque anni  si è consumata una guerra civile efferata che ha provocato oltre 380.000 morti, 4 milioni di profughi e sfollati interni, 7,5 milioni di persone (60% della popolazione)  che necessitano di assistenza umanitaria, violenze indicibili, infrastrutture pressoché inesistenti, grave insicurezza alimentare per milioni di persone.  Un conflitto di potere tra i leader dei diversi gruppi etnici per il controllo del petrolio e per  l’accesso a terre e fonti d’acqua dei diversi gruppi. Nonostante gli accordi di pace,  le violenze non sono cessate del tutto e il processo per una pace duratura è lento e a singhiozzo subendo, in modo in parte strumentale, anche  le conseguenze della pandemia.  La chiusura delle frontiere e le misure di confinamento stanno aggravando le condizioni di vita delle persone colpite dalla crisi sotto diversi aspetti. Di seguito alcuni dei più rilevanti:

  • più difficile accesso alla protezione internazionale all’estero data la chiusura dei confini
  • gli interventi umanitari sono rallentati
  • i dialoghi di pace si sono fermati o hanno subito un freno
  • Le operazioni di peacekeeping si sono rapidamente trasformate in strutture di sostegno per il contrasto alla pandemia nelle realtà locali; non avendo più il tempo e/o le risorse per adempiere al loro mandato originario, ciò favorisce l’azione dei gruppi armati e la circolazione di armi
  • aumento dell’instabilità e conseguenti tensioni e violenze dovuta alle maggiori difficoltà di accesso a fonti di sostentamento, nonché strumentalizzazione da parte di gruppi armati non statali per accrescere il controllo del territorio sfruttando le fragilità di popolazioni in forte stress economico e psicologico.
  • aumento del traffico illecito di armi.

Perdita delle fonti di reddito, chiusura delle scuole, deteriorarsi delle crisi preesistenti,  aggravano le condizioni di insicurezza alimentare di cui la popolazione del Sud Sudan soffre in modo cocente (6,48 milioni di persone in modo severo) così come molti altri contesti, facendo si che il Covid-19 in Africa accresce la fame più di quanto non affolli i pochi ospedali.  L’Africa è  il continente con il più alto tasso di denutrizione al mondo e dove già prima del covid-19 vi era un trend in peggioramento. Anche in questo caso alcune pregresse condizioni di vulnerabilità acuiscono il problema come l’alta dipendenza dalle importazioni agricole e alimentari, nonostante la ricchezza di terre coltivabili. Ciò ha significato una riduzione della disponibilità di cibo e dei fattori di produzione a seguito della chiusura delle frontiere e  un’alta esposizioni alle variazioni dei prezzi che sono aumentati a causa dell’interruzione di approvvigionamento alimentare. Tuttavia è evidente come il deterioramento della sicurezza alimentare è dovuto più alle maggiori difficoltà di accesso al cibo a causa della diminuzione delle fonti di reddito, che non alla sua ridotta disponibilità. Ciò vuol dire per tante persone scegliere tra il rischio di un virus invisibile, re-immettendosi nell’economia informale, e la certezza di non avere il pasto quotidiano.

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 Questi temi sono trattati in modo più diffuso nel recente dossier con dati e testimonianze di Caritas Italiana: “Pace a singhiozzo. Un popolo stremato dalla guerra, in un continente affamato dalla pandemia”