[Copertina: immagine realizzata dal Gruppo Ragazzi “Oratorio S. Domenico Savio” della Parrocchia S. Maria Maggiore di Piedimonte Matese (CE) e premiata all’esito del concorso della nostra Campagna]                                                                                             

“La costruzione della pace, che la Chiesa e ogni istituzione civile devono sempre sentire come priorità, ha come presupposto indispensabile la giustizia. Essa è calpestata dove sono ignorate le esigenze delle persone e dove gli interessi economici di parte prevalgono sui diritti dei singoli e della comunità. La giustizia è ostacolata, inoltre, dalla cultura dello scarto, che tratta le persone come fossero cose, e che genera e accresce le diseguaglianze, così che in modo stridente sulle sponde dello stesso mare vivono società dell’abbondanza e altre in cui molti lottano per la sopravvivenza.”

Queste parole, pronunciate da Papa Francesco il 23 febbraio scorso nel corso dell’incontro con i Vescovi del Mediterraneo rappresentano con limpidezza cristallina il nesso che esiste tra pace e giustizia sociale ed economica: un sistema che produce disuguaglianza, produce ineluttabilmente anche conflitto. Il discorso del Papa a Bari ha suscitato più di qualche discussione e polemica da parte di qualche leader politico che si è sentito sotto accusa di fronte alle chiare parole del papa sull’assurdità di risolvere i problemi innalzando muri invece che attaccare direttamente le cause della povertà e dell’ingiustizia. Ma le polemiche maggiori sono state quelle suscitate dal paragone tra i segnali presenti nel discorso pubblico di alcuni politici dell’Europa di oggi con quanto è avvenuto negli anni ’30 del secolo scorso, gli anni che hanno accompagnato la stagione dei totalitarismi del novecento e poi la tragedia indicibile della Shoà e della seconda guerra mondiale.

Certo, si tratta di due periodi storici molto diversi ed il Papa è il primo a saperlo… ma vale la pena soffermarsi su qualche elemento che potrebbe aiutarci a riflettere. E’ noto che il tema delle diseguaglianze non è un tema molto popolare tra i decisori, e che soltanto di recente ha guadagnato un po’ di visibilità anche nella ricerca e nella pubblicistica. Ma vale la pena ricordare quanto veniva detto già in un film del 2013 (‘Inequality for all’), forse uno dei primi tentativi di restituire alla questione delle disuguaglianze un minimo di attenzione. Di questo film destò particolare interesse un grafico (Figura 1), elaborato sulla base dei dati relativi agli USA, diventato poi famoso con il nome del ‘grafico del ponte sospeso’, dove si vedono con sorprendente simmetria i picchi della disuguaglianza nella storia dell’ultimo secolo collocarsi esattamente subito prima degli anni ’30 e poi nel 2007, alla vigilia della grande crisi finanziaria iniziata lo scorso decennio.

Figura 1 – Il grafico del ‘ponte sospeso’ delle disuguaglianze (dal film ‘Inequality for all’ 2013)

Ancora una volta ci sembrano realtà troppo lontane per un paragone diretto… ma, facendo una riflessione che rischia anche di metterci un po’ a disagio, sarebbe importante anche fare memoria di come negli anni che seguirono il picco delle disuguaglianze verificatosi nel 1928 si vide il diffon­dersi di paura e insicurezza, cavalcati da abili politici in grado di utilizzare il registro dell’autodifesa e del nazio­nalismo; insieme ad una classe dirigente che in diversi paesi non colse abbastanza rapidamente quanto stava avvenendo nell’economia, ma soprat-tutto nelle società. Ugual-mente dovremmo notare come in quegli stessi anni si sperimentò il fallimento dei faticosi tentativi di cooperazione multilaterale che avevano seguito la prima guerra mondiale.

Questa storia ci dice quindi una cosa sola: la pace si costruisce a livello globale se si è in grado di lottare contro le disugua­glianze. Ed è importante notare come invece nel dibattito pubblico (e talvolta anche nel nostro stesso impegno per un mondo migliore…) vi siano tre temi rigidamente separati: da una parte la vicinanza ai ‘poveri’, coloro che non ce la fanno e che negli ultimi anni abbiamo visto aumentare anche in Italia in maniera costante; in secondo luogo, la consapevolezza di una ‘rabbia sociale’ sempre più visibile, che porta a polarizzazioni e all’identificazione di un facile ‘nemico’ cui ascrivere le responsabilità di ogni tensione e difficoltà; e poi i meccanismi che causano tutto questo, spesso lasciati sullo sfondo e poco considerati perché troppo difficili e ‘poco concreti’. Ma che purtroppo rappresentano la base su cui povertà e rabbia sociale prosperano e si diffondono…

Nello stesso film Inequality for all si descrivono un paio di questi meccanismi, in modo sorprendente-mente sovrapponibile con il grafico del ‘ponte sospeso delle disugua-glianze’. La figura 2 fa vedere come l’andamento di queste ultime è direttamente correlato con l’anda-mento delle rendite finanziarie: più aumentano le disuguaglianze, più il settore finanziario riesce a trarre profitto dell’andamento dell’economia (a discapito per lo più del lavoro, che invece viene penalizzato). E c’è una seconda questione che merita di essere menzionata, come mostra la figura 3: le tendenze nella progressività fiscale. Il grafico mostra con chiarezza come l’andamento della tassazione sull’aliquota marginale più elevata (cioè il livello di tassazione per i redditi più alti) riesca ad anticipare in maniera assolutamente efficace quello che succederà con le disuguaglianze: quanto quest’aliquota aumenta, dopo pochi anni si vedono le disuguaglian­ze diminuire; quando quest’aliquota diminuisce, la reazione di aumento delle disuguaglianze non si farà attendere!

Figura 2 – L’andamento delle rendite finanziarie (dal film ‘Inequality for all’ 2013)

Gli anni 30’ sono dunque tempi di nazionalismo e di odio, ma anche di rendite finanziarie e sistemi fiscali iniqui. Proprio come i tempi che stiamo vivendo adesso. Che possibilità abbiamo di reagire? Quanto siamo consapevoli della necessità di lavorare su queste connessioni? Pensiamo soltanto al dibattito sulla riforma fiscale a cui assistiamo oggi in Italia. Che le tasse vadano abbassate è una esigenza di molti. Ma per chi? E’ forse possibile abbassare il carico fiscale nel suo insieme, ma il punto fondamentale è soprattutto nel suo riequilibrio: cioè detto in termini molto pratici, l’abbassamento delle tasse per alcuni (soprattutto i redditi medio bassi) e l’aumento per altri (soprattutto i redditi più alti e i percettori di rendita).

Figura 3 – L’andamento della tassazione (dal film ‘Inequality for all’ 2013)

Non è un discorso potenzialmente molto popolare, e infatti nessuno lo fa… Mentre sembra andare per la maggiore (paradossalmente proprio tra coloro che sono sfavoriti dal sistema), l’idea di una ‘tassa piatta’ uguale per tutti, che colpisce allo stesso modo i miliardari e gli operai, e che diminuendo le entrate fiscali porta alla diminuzione dei servizi proprio per gli operai.

Come ancora ci dice il Papa, “[n]el perseguire il bene comune – che è un altro nome della pace – è da assumere il criterio indicato dallo stesso La Pira: lasciarsi guidare dalle «attese della povera gente».[2] Tale principio, che non è mai accantonabile in base a calcoli o a ragioni di convenienza, se assunto in modo serio, permette una svolta antropologica radicale, che rende tutti più umani.”

Ma ascoltare le attese della povera gente significa lavorare sulle cause della povertà e sui processi di impoverimento (la povertà non è un destino ineluttabile per nessuno). E i discorsi che ‘seminano paura’ avranno sempre terreno fertile finché sentiremo ripetere anche tra di noi che certi discorsi sui meccanismi e sul sistema sono troppo astratti o troppo complessi.