Le conseguenze dei cambiamenti climatici e della crescente deforestazione non possono essere letti solo in chiave ambientale ed economica. Hanno infatti effetti rilevanti anche sulle crisi umanitarie in atto. Non solo. Ne creano di nuove, in aree prima sostanzialmente “sicure” e non vulnerabili ai disastri. La cosa ormai è sotto gli occhi di tutti. In un trend assai preoccupante su scala planetaria, che include ormai ogni continente, ogni Paese e ogni singola regione del mondo.

L’impatto dei cambiamenti climatici e dei fenomeni collegati, come la deforestazione e l’inquinamento di aria, acqua e terra, è strettamente collegato alla magnitudo delle emergenze umanitarie. In particolare – ed è solo un esempio – è ormai noto che esiste un legame tra la cattiva qualità e la scarsità dell’acqua, la malnutrizione, i conflitti e gli esodi forzati. Tanto da far definire, da parte di alti rappresentanti dell’ONU, alcune guerre come conflitti ambientali (in pratica individuandone la causa principale nelle conseguenze del cambiamento climatico su quella regione).

Con il riscaldamento globale aumenteranno così anche i disastri naturali – in realtà antropici – come le inondazioni e gli uragani, e si intensificheranno fenomeni di per sé graduali, come la siccità – fatto a cui abbiamo già assistito in modo evidente nel corso degli ultimi anni, soprattutto in alcune aree dell’Africa e non solo.

Secondo un recente rapporto presentato alle Nazioni Unite – in linea ormai con molti altri dossier frutto di numerosi gruppi di lavoro di varie équipes della comunità scientifica – a subire l’impatto dei cambiamenti climatici sarà soprattutto chi vive in povertà. Altro motivo di diseguaglianza tra ricchi e poveri su scala planetaria. Tra Paesi e all’interno degli stessi. In particolare i Paesi in via di sviluppo sopporteranno il 75 per cento dei relativi costi e questo metterà anche in pericolo le loro fonti di approvvigionamento. Un gravissimo problema economico (di tenuta dei conti pubblici), ambientale (da affrontarsi con politiche di prevenzione adeguate) e sociale (stanti gli inevitabili effetti sulle popolazioni) per Paesi spesso caratterizzati da leaderships fragili e instabili.

Tutti tali fenomeni non sono ingestibili, ed è pertanto fondamentale una politica forte su scala locale e globale, che sappia opportunamente formare e informare i cittadini e raccogliere l’adeguato consenso per affrontare tali sfide. Oggi si assiste ad una mobilitazione crescente della società civile, ma risulta sostanzialmente inascoltata. Ecco perché la questione ambientale impatta maggiormente se la politica è debole.

Da tempo le équipes delle principali agenzie umanitarie denunciano tali situazioni e si confrontano con problemi operativi di ogni tipo – a partire dalla salute e dalla stessa sopravvivenza – di centinaia di migliaia di persone che vivono in aree colpite dalla siccità e da altre calamità, con poche risorse e scorte alimentari, come ad esempio il Sahel, o messe in ginocchio da disastri (apparentemente) naturali, come il Mozambico. E portano le testimonianze concrete – specchio di queste rilevazioni e questi studi – con la forza degli incontri con persone e comunità reali, con i volti di coloro che pagano più di tutti le conseguenze di tutto ciò.

La comunità internazionale pare invece inerte – occorre ribadirlo – rinchiusa in un “silenzio assordante”, sostanzialmente passiva, bloccata tra reciproci sospetti e interessi di breve periodo, senza alcuna prospettiva lungimirante che miri allo sviluppo sostenibile, a una “ecologia integrale”, per dirla con Papa Francesco, in particolare secondo l’analisi e il linguaggio efficace della Laudato Si’. Un punto di riferimento per tutti.