Una crescente domanda di sicurezza sembra dettare l’agenda della politica in Italia, come in molti altri paesi del mondo. Ma da cosa è dettata questa domanda? Quali sono le sue cause profonde? Quali risposte occorre dare? Per tentare un ragionamento su questo tema è forse necessario riflettere sul contesto della società in cui viviamo: un’epoca di crescenti diseguaglianze, e in cui una delle caratteristiche più riconoscibili è quella dell’erosione delle certezze su cui le persone hanno costruito la propria vita. Si tratta di una sensazione diffusa, che filtra dalla percezione di una regressione delle condizioni socioeconomiche, ad una perdita di controllo sul proprio futuro, ad una vera propria messa in discussione della propria percezione di sé, della propria identità. Questa perdita di certezze genera una società che il CENSIS descrive come vittima di una forma di ‘sovranismo psichico’, dove l’assenza di prospettive porta al rancore (quando non a forme di vera e propria cattiveria) nei riguardi degli ‘intrusi’, dei diversi. La politica accarezza questi sentimenti fornendo risposte di ‘plateale controllo del disordine’, come se poche decine di esseri umani tenuti per qualche giorno o qualche settimana al largo delle nostre coste fossero sufficienti ad allontanare i fantasmi della nostra stessa perdita di identità.

Allo stesso tempo, ogni dato conferma l’aumentare della disuguaglianza in tutto il pianeta (https://www.oxfamitalia.org/la-grande-disuguaglianza/). E’ proprio a partire dalla crescente forbice della diseguaglianza che si presentano molte piste di riflessione circa i fattori alla base dell’insicurezza e della paura: da una parte la paura di chi vive nella precarietà e vede lo spettro della povertà avvicinarsi minaccioso; ma anche quella di chi ha vissuto in un mondo relativamente stabile, e che vede adesso avvicinarsi il pendio scosceso dell’incertezza. Si tratta, paradossalmente degli stessi sentimenti di insicurezza e di assenza di prospettive vissute da coloro che al di là del mare decidono di investire ogni loro risorsa per conquistarsi una precarietà non troppo diversa da quella che vivono al momento di partire (e talvolta con un consapevole rischio della vita durante una pericolosa traversata), ma dove vedono almeno una prospettiva di cambiamento.

E’ forse proprio questo senso di assenza di futuro a raccontare qualche elemento importante circa la percezione dell’insicurezza nella nostra società: la crescente diseguaglianza insieme alla caduta delle prospettive di cambiamento portano fasce crescenti della popolazione a sentire sulla propria pelle tutto il peso delle trasformazioni che attraversano la società. Si tratta di un punto importante, ma spesso sottovalutato: la diseguaglianza, e soprattutto il suo aumento, provoca nelle persone quella disperazione che deriva da una ‘perdita di futuro’. Si tratta di una situazione diffusa nell’Italia di oggi, dove la maggioranza della popolazione ritiene di non aver migliorato la propria condizione socioeconomica rispetto a quella dei propri genitori (ed è il 77% della popolazione, secondo il CENSIS – contro una media del 70 per cento nell’UE – a conferma del fatto che si tratta di un fenomeno tutt’altro che soltanto italiano). Non viene percepita alcuna opportunità di ‘ascensore sociale’, e si finisce per dover difendere con le unghie e con i denti quanto ancora non ci è stato portato via.

Le diverse forme di diseguaglianza provocano, da questo punto di vista, diversi effetti sulla società. La disuguaglianza ‘orizzontale’ è quella dell’esclusione di determinati gruppi sociali, i cui componenti polarizzano attorno a sé delle circostanze discriminatorie, che vengono giustificate (e talvolta anche rivendicate) con le caratteristiche (vere o presunte) di quegli stessi gruppi. La percezione di forti discriminazioni orizzontali e del loro aumento è riconosciuta come una delle cause principali di conflitto e di tensione sociale in varie forme. Si tratta di una situazione che in Italia sembra affiorare in modo sempre più visibile: secondo il progetto ‘Contro l’odio’ (https://controlodio.it/), da ottobre a oggi, un tweet su 7 in Italia contiene una qualche forma di incitamento all’odio nei riguardi di minoranze.

Ma le diseguaglianze hanno anche altri volti. I fenomeni di mobilità umana sono spesso spiegati da condizioni di diseguaglianza ‘geografica’: le persone si spostano perché inseguono una prospettiva di cambiamento che nel loro territorio non trovano più, fuggendo dall’insicurezza di un conflitto o di quella che percepiscono essere una povertà ‘invincibile’. Questo è sempre avvenuto, qualsiasi sia il pensiero del giovane sottosegretario che poche sere fa in televisione spiegava conciliante ad un gruppo di bambini, che se lui stesso si fosse trovato in una situazione di insicurezza o precarietà, sarebbe stato fiero di rimanere nella sua terra per garantire un futuro migliore a sé e alla propria famiglia. Il problema è che il futuro bisogna vederlo, e non tutti hanno la forza d’animo (o forse la totale miopia) del giovane sottosegretario. Ma del resto, lo stesso fenomeno avviene in molte regioni italiane, dove le persone non trovano nulla che possa motivarli a restare nella propria terra di origine. In questi casi (nel caso degli spostamenti interni in Italia, così come rispetto a quanto avviene su scala globale) come è noto, non sono in realtà le persone più povere ad emigrare, quanto quelli che sono in grado di pianificare ed investire, generando così un ulteriore impoverimento delle società di partenza, e dunque un ulteriore aumento delle disparità territoriali.

Ma la causa profonda di queste diverse forme di diseguaglianza, è quella che viene chiamata la ‘diseguaglianza verticale’: il meccanismo per cui aumenta la distanza tra le persone più ricche e quelle più povere di una determinata società. E’ un tipo di disuguaglianza che genera profonde lacerazioni, per rispondere alle quali non è più sufficiente lavorare sui termini dell’inclusione (pur necessaria laddove è necessario dare una risposta a forme di diseguaglianza ‘orizzontale’) o della redistribuzione. L’aumento della diseguaglianza verticale rende evidente che non è possibile occuparsi soltanto dei poveri e degli esclusi, senza osservare le dinamiche complessive attraverso cui essi diventano e rimangono tali: le dinamiche di un sistema per il quale l’esclusione è ‘strutturale’, vale a dire in qualche modo parte del meccanismo complessivo di produzione e consumo; e per cui non è possibile limitarsi di redistribuire ‘a posteriori’ le risorse che sono prodotte da meccanismi in partenza orientati alla generazione di disparità. Ed è proprio la dinamica di crescente diseguaglianza verticale ad interrompere o rallentare quell’ascensore sociale che consente alle persone di ‘sperare’.

Le dimensioni orizzontale, geografica e territoriale delle diseguaglianze rappresentano diversi aspetti di uno stesso fenomeno. Essi producono una convivenza segmentata e difensiva, dove la capacità di proteggere se stessi diventa condizione di sopravvivenza (personale, o del proprio tenore di vita, o della propria  ‘identità’). Una società più diseguale è anche una società dove la garanzia di equità fornita dallo stato è sempre meno efficace: il patrimonio pubblico diminuisce (sono i dati impietosamente forniti dal World Inequality Report – https://wir2018.wid.world/) e con esso anche la capacità di garantire l’affermazione del ‘bene pubblico’. Si tratta di un solco i cui effetti si ripercuotono sulle prossime generazioni: quale senso di appartenenza ad una stessa collettività potranno esprimere i figli di coloro che oggi sono tenuti al margine della vita sociale e politica?

Questo aumento della disuguaglianza, che segna il nostro presente e provoca conseguenze sul nostro futuro genera nell’insieme una società meno sicura e più polarizzata. Ma dove aumenta l’insicurezza percepita aumenta anche il bisogno di sicurezza, la cui garanzia viene affidata in modo sempre più diffuso all’iniziativa privata. La disuguaglianza ha in qualche modo bisogno della sorveglianza, per mantenere quel livello di sicurezza che è in qualche modo destinato a permettere il riprodursi dei meccanismi esistenti. Una società diseguale è una società più precaria e insicura: in questo senso, una società diseguale genera una necessità di maggiore sicurezza, la cui legittimazione politica proviene paradossalmente in larga parte proprio da quelle fasce più deboli che dai fenomeni di diseguaglianza vengono rese sempre più vulnerabili (come è avvenuto e sta avvenendo in molti paesi del nord e del sud globale). Ma chi promette sicurezza, mantiene questa promessa convogliandone l’efficacia nel rendere più sicuro il sistema stesso che tali diseguaglianze genera e mantiene. Si tratta di una situazione che vista in questa luce acquista un tratto paradossale: nell’agenda di molti leaders in Europa e nel mondo si osserva la compresenza di misure volte a riaffermare la priorità dell’agenda della sicurezza, anche in casi in cui le statistiche non sembrerebbero confermare tale ‘emergenza’; e allo stesso tempo misure dall’effetto regressivo in termini di distribuzione della ricchezza, di reddito, di opportunità.

Il fatto che le misure adottate ‘per la sicurezza’ producano invece società meno sicure (siano esse il mancato controllo dell’accesso alle armi, lo smantellamento dei sistemi di accoglienza e protezione umanitaria, o le politiche di sgomberi, per citare solo alcuni dei temi più recenti) non deve essere visto come una stranezza: si tratta invece della logica di una ‘profezia che si autoavvera’, per la quale l’insicurezza viene posta come motivazione di politiche che rendono vera la loro stessa premessa. Ed è interessante notare come le fasce sociali (quelle rese più vulnerabili dai fenomeni di crescente diseguaglianza) che sostengono politicamente tali misure ‘di sicurezza’, si trovano a sostenere così indirettamente misure di natura potenzialmente regressiva sul piano distributivo (vedi ad esempio il dibattito sulla proposta di ‘flat tax’). Tali politiche sono peraltro legittimate da uno storico fallimento di politiche di segno politico diverso, che sembrano storicamente aver ‘assimilato’ e neutralizzato le istanze di giustizia sociale e di opposizione alle diseguaglianze in ricette che spesso hanno determinato risultati opposti, in una spirale che ha contribuito all’insorgere al sentimento di precarietà di cui sopra si è detto.

Il maggior nemico di una società realmente sicura è dunque proprio la diseguaglianza crescente. Ma le politiche che vengono poste in essere per dare seguito all’agenda della sicurezza, finiscono per accompagnare una crescente disuguaglianza, quando non in alcuni casi, a provocarne l’inasprimento. Una società più sicura, ora e in prospettiva delle generazioni future, è una società integrata, che è in grado di dare a tutti le stesse opportunità, e a far sentire ogni persona parte di un progetto di società condiviso. Politiche orientate all’integrazione, all’inclusione, al riconoscimento dei diritti ed al cambiamento profondo di un sistema che genera diseguaglianze rappresentano dunque il mezzo più efficace per assicurare una società meno conflittuale e più sicura.