La campagna ‘Chiudiamo la forbice’ vuole porre all’attenzione il tema delle diseguaglianze: un tema che tocca profondamente la realtà del nostro paese e della nostra società, ma che trova le sue radici in fenomeni ben più ampi, di carattere sistemico e globale, che mostrano conseguenze visibili in tutti i paesi del pianeta. E’ dunque importante porsi la questione di quali siano i meccanismi globali che esercitano il loro effetto sulle condizioni delle persone in tutto il pianeta, continuando ad aggravare la distanza tra più poveri e i più ricchi così come le distanze che separano alcuni gruppi sociali dalla maggioranza della popolazione.

Il debito e l’instabilità finanziaria sono tra i fenomeni che condizionano in maniera più significativa la vita delle donne e degli uomini che abitano il nostro pianeta, e in particolare quelli delle comunità più povere e vulnerabili. Se però la crisi del debito degli anni ’80 e ’90 si era abbattuta principalmente sui paesi del sud globale, la storia degli ultimi dieci anni ha reso evidente come non esistano zone franche. Non solo i paesi impoveriti del sud del mondo, ma anche i paesi ricchi e industrializzati del nord del mondo si trovano a fronteggiare fenomeni di indebitamento, sui quali è necessario riflettere a fondo, sia in merito al modo in cui questi fenomeni sono emersi, sia per quanto riguarda le loro conseguenze sull’economia, la politica, la società.

La situazione del debito che sperimentiamo negli ultimi quindici anni ha però caratteristiche diverse, e per certi aspetti ancora più preoccupanti rispetto alla crisi del debito che scosse le economie di tutto il pianeta a partire dagli anni ottanta, la conferenza sulla gestione del debito dell’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) tenutasi a Ginevra nell’ottobre 2017 ha fornito un importante contribuito nel comprendere meglio la situazione. Dopo una prima fase in cui il debito era andato calando, a partire dal 2008 (più o meno in coincidenza con lo scoppio della crisi finanziaria internazionale), esso ha ricominciato a salire, sia in termini di proporzione con il PIL che nella proporzione servizio del debito/esportazioni. Oltre al livello del debito, a preoccupare è però la sua composizione: mentre ai tempi della crisi del debito degli anni ’90 il debito internazionale era largamente debito pubblico (sovrano) nei riguardi di altre istituzioni pubbliche, adesso non è più così. Il debito pubblico nei riguardi di creditori privati era il 41% del totale nel 2000, ed è salito al 62% nel 2016. Il debito verso privati, al contrario di quello nei riguardi di istituzioni pubbliche è difficilmente ‘contrattabile’: un creditore privato avrà ogni interesse a trarre il massimo vantaggio dai titoli di credito in proprio possesso come avviene nel caso dei ‘fondi avvoltoio’ che quando riescono ad entrare in possesso di quote di debito ‘in sofferenza’ dei paesi poveri, cercano di tenere questi paesi sulla graticola di interminabili azioni giudiziarie. Anche il debito dei privati è in aumento, e lo è anche per i paesi più poveri: in Africa Sub Sahariana, il debito privato è aumentato circa sette volte dal 2000, raggiungendo i 70 miliardi di dollari del 2015. Secondo l’UNCTAD, questo è avvenuto anche a causa di un ‘pregiudizio positivo’ nei riguardi del debito privato, da parte degli organi internazionali di supervisione finanziaria, che ponevano invece stretti vincoli all’indebitamente pubblico. Ma esistono analisi che mostrano come la crescita del debito privato sia legato a cicli economici negativi, e come molto spesso l’indebitamento privato, soprattutto in tempi di crisi, sia soggetto a garanzia implicita o esplicita, che conduce alla sua assunzione da parte del settore pubblico quando esso diviene insostenibile.

Il tema del debito deve dunque essere assolutamente ripensato prendendo in considerazione questi elementi. Secondo il FMI ci sono sempre più paesi a rischio crisi per sovra indebitamento, anche tra quelli che avevano goduto dei benefici dell’iniziativa HIPC (l’iniziativa dell’inizio degli anni ’90 che aveva permesso la cancellazione del debito di molti paesi poveri), e molti osservatori si chiedono perché non sia ancora scoppiata una nuova crisi del debito nei paesi del sud globale. Rimane inoltre ancora irrisolto il problema del controllo sociale dell’indebitamento, che spesso viene contratto in modalità opache e a beneficio di pochi. E nessuna reale soluzione è stata mai offerta rispetto alla questione di una procedura equa per uscire dalle crisi che puntualmente, e non inaspettatamente, vengono a verificarsi.

E’ necessario però porre un’attenzione particolare alle conseguenze delle dinamiche di instabilità finanziaria e di indebitamento in termini di ‘sofferenza sociale’ e diseguaglianza. Ad esempio, è esperienza comune e diretta anche in Italia che le politiche messe in opera per rispondere ad un debito percepito come eccessivo sono incentrate sulla contrazione della spesa, e dunque per molti aspetti sulla riduzione dei servizi pubblici. Si tratta di misure che toccano le fasce più povere della società che dai quei servizi pubblici traggono importante sostegno: si tratta dunque di misure che hanno un effetto di redistribuzione in senso regressivo (cioè dai più poveri ai più ricchi) nell’accesso ai servizi, dato che i ceti più ricchi della società non avranno difficoltà a mantenere un accesso a servizi qualificati a pagamento (ad esempio nel campo educativo o sanitario). Ma nonostante il chiaro impatto delle dinamiche finanziarie e del debito in termini distributivi, questa connessione è rimasta relativamente poco esplorata fino ad un tempo relativamente recente. Quali sono infatti i meccanismi che collegano la stabilità finanziaria alla distribuzione del reddito, dei servizi, dell’accesso alle risorse? Esiste una relazione tra il debito e la diseguaglianza?

Secondo Juan Pablo Bohoslavsky, esperto indipendente su Debito e Diritti Umani delle Nazioni Unite, che ha cominciato a mettere a fuoco questo tema con una serie di ricerche a partire dal 2016, le questioni legate al debito e più in generale alla governance della finanza internazionale hanno un legame importante con i fenomeni di crescente diseguaglianza che si verificano sul pianeta. Diversi studi empirici trovano inoltre una correlazione tra diseguaglianza, a parità di reddito complessivo, e l’aumento del deficit fiscale e all’indebitamento pubblico, a causa dell’erosione della base fiscale verifica laddove la diseguaglianza non è controbilanciata da un’appropriata progressività nella tassazione. I meccanismi attraverso cui questo legame si concretizza sono dunque vari ed estremamente visibili, e danno luogo ad un doppio legame: le dinamiche finanziarie e di indebitamento hanno un impatto sulle diseguaglianza; ma a sua volta quest’ultima, soprattutto il suo aumento, ha un effetto sull’indebitamento e l’instabilità finanziaria.

In primo luogo dunque la diseguaglianza (e più in particolare l’aumento di essa) può favorire la crescita del debito, in particolare quello privato: gli strati sociali più poveri cercano di mantenere i propri livelli di consumo, indebitandosi, anche a causa di un fenomeno di emulazione rispetto agli strati sociali più ricchi; inoltre, si può verificare un meccanismo che si genera attraverso surplus di liquidità a disposizione dei ceti più ricchi che viene in parte consumato in beni di lusso, e in parte re iniettato nel sistema fornendo una illusoria abbondanza di liquidità, bassi tassi di interesse e disponibilità per impieghi ‘rischiosi’.

Un esempio di dinamiche di sovraindebitamento che hanno contribuito in modo importante all’aumento delle diseguaglianze, è quello della green revolution, la cosiddetta ‘rivoluzione verde’ che negli anni ’60 e ’70 ha cambiato l’agricoltura globale: molti contadini adottarono le nuove tecniche, acquistando a credito quanto necessario, per ottenere raccolti più elevati, ma esponendosi al rischio di perdere tutto alla prima crisi (siccità, piogge eccessive, ma anche avvenimenti familiari come decessi improvvisi o eventi di altra natura). Il risultato di quella stagione fu, assieme ad un considerevole aumento della produzione, un impressionante aumento della concentrazione della proprietà della terra in paesi come l’India e la diffusione del fenomeno dei ‘contadini suicidi’ tra coloro che avevano perso ogni cosa, a causa di debiti non pagati. Un altro esempio importante del collegamento tra il debito da parte delle fasce più povere della società con l’abbondanza momentanea di liquidità a basso costo, è anche quello della fase che portò poi alla crisi dei mutui ‘sub-prime’ negli USA, a partire dal 2007 (circostanza che è stata poi all’origine della profondissima crisi finanziaria che ancora non ha terminato di esercitare i suoi effetti su tutto il pianeta).

E’ interessante notare come nella gestione di quel passaggio si ebbe una sostanziale ‘ripubblicizzazione’ del debito: a parte il caso del fallimento della Lehman Brothers, molte banche di investimento come la Goldman Sachs e la Morgan Stanley, vennero salvate grazie all’intervento del governo statunitense. In un caso di questo tipo il problema è duplice: da una parte quello dei debitori, che non sono più in grado di ripagare il dovuto, e finiscono in questo modo per perdere tutto (gli assets – come la casa – per acquisire i quali si erano indebitati); dall’altra il problema dei creditori (privati) il cui possibile crollo è destinato a causare ulteriori ripercussioni, ad esempio sui risparmiatori che da questo crollo sarebbero travolti (spesso piccoli risparmiatori). E’ proprio il timore di questo crollo che causa l’intervento dei governi, puntualmente verificatosi in molte altre occasioni (tra le quali appunto anche l’ultima grande crisi finanziaria negli USA ma anche nell’Unione Europea). Tale intervento (con l’impegno di considerevoli somme di denaro) può essere alla base di ulteriori vincoli di bilancio che, come prima accennato, possono avere un ulteriore effetto sull’accesso ai servizi delle fasce più povere.

Nel capire l’effetto del debito sulle disuguaglianze è dunque importante distinguere tra debito pubblico e debito privato; ma è altrettanto importante cogliere cosa avviene nelle zone di confine tra queste due tipologie. In ogni caso, un rapido aumento del debito privato è un predittore più accurato di una fase di instabilità finanziaria di quanto non lo sia la dinamica del debito pubblico. Le situazioni di instabilità finanziaria favoriscono inoltre molte dinamiche, tra le quali comportamenti di ‘rent-seeking’ a breve e brevissimo termine, che tendono a sfavorire le fasce più povere e vulnerabili.

Il debito non è una questione di tecnica, ma una questione di giustizia: il suo aumento in un contesto di finanza non regolata ha degli effetti nefasti su tutta la società, e soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione del pianeta. E’ necessario ‘riumanizzare’ questo tema, alla cui base vi sono questioni tecniche che vengono spesso presentate come neutrali per definizione ma che in realtà non lo sono affatto. Ed è attraverso una più ampia consapevolezza sui fenomeni di carattere globale che hanno un impatto sulle diseguaglianze, che sarà possibile costruire una risposta più efficace alle questioni che si pongono in maniera così forte anche nella nostra società.