Nel 2022 si giunge all’ottava edizione del Festival delle culture del Mediterraneo, promosso da ARCI, Acli, Caritas Italiana e CGIL, con la collaborazione di ASGI e Carta di Roma.

L’iniziativa ha preso piede a Lampedusa nel lontano 2014, per approdare oggi a Matera, con passaggi a Pozzallo (2016), Siracusa (2017), Palermo (2018), Lecce (2019 e 2021) e una versione on line durante il periodo della pandemia (2020).

Sabir è dunque un appuntamento fisso che di anno in anno viene rilanciato, arricchito e innovato nei contenuti e nelle persone e reti coinvolte. Di fatto, l’evento rappresenta una delle poche iniziative in Italia e in Europa in cui si tiene aperto uno spazio di dibattito sulle questioni migratorie e di inclusione, con l’intento di fare una sintesi e di elaborare proposte innovative. Il Festival regala, infatti, momenti di confronto, di approfondimento e di socialità internazionale che ruotano intorno all’idea del Mediterraneo come luogo di pace, di condivisione, di sviluppo sostenibile, di diritti e di giustizia, ripristinando quel legame storico, culturale, economico e sociale che da sempre lega le due sponde del mare nostrum, come amavano chiamarlo i Romani. Non è un caso che il Festival sia denominato Sabir, un termine che sta ad indicare quella lingua franca ed estremamente semplificata, una volta usata proprio nel Mediterraneo dai commercianti arabi ed europei per comunicare fra loro.

Il Festival di Sabir è un contenitore multiforme che racchiude eventi culturali, formativi e politici, tre momenti che si intersecano e che sono l’uno propedeutico e necessario all’altro. Questi sono infatti i tre fondamentali pilastri dell’azione sociale per mettere a servizio della collettività conoscenza, visione di futuro e proposta politica.

In questo periodo delicato della storia, approfondire alcuni temi particolarmente scottanti e divisivi, tramandando valori oltre che contenuti, raccontando senza voyeurismo la “vita degli altri”, promuovendo nuove vie per con-vivere, stimolando la libertà di pensiero e la capacità critica, è di dirimente importanza. Gli argomenti discussi a Sabir rappresentano un importante e ampio luogo di crescita collettiva e personale che spazia dall’accoglienza al lavoro; dal welfare alla legalità; dalla cura della persona alla questione femminile.

Con la guerra vicina in corso, Sabir assume poi un connotato ancor più urgente. Subito dopo la pandemia, che oggi si è placata ma non è del tutto passata e che, presumibilmente, avrà effetti di lunga durata soprattutto sul “mondo di sotto”, abbiamo assistito alla crisi afghana e stiamo vivendo quella dietro l’angolo, mentre nel resto del mondo rimangono in piedi centinaia di conflitti di cui non si parla mai, ma che durano da anni.

 

Nell’edizione 2022, si è posta l’attenzione su tre temi: la crisi in Ucraina, il lavoro e la cittadinanza, l’Europa e il Mediterraneo.

La crisi in Ucraina. Come hanno reagito l’Italia, l’UE e la comunità internazionale alla fuga delle persone in questa particolare situazione rispetto a quelle di altre regioni di conflitto? La presente guerra è stata trattata per molte ragioni in maniera diversa rispetto a tutte le altre. Ciò pone, da una parte, una questione etica (rischio di produrre migranti di serie A e di serie B), dall’altra apre nuovi scenari di accoglienza in un territorio, quello europeo, che negli ultimi anni tende sempre più a chiudere le proprie frontiere. In altri termini, la crisi ucraina ha visto per la prima volta una gestione diversa dell’emergenza, derivante dall’adozione della Direttiva UE 55/2001, con un protagonismo del terzo settore e l’implementazione di strumenti mai utilizzati prima. La speranza è quindi quella che, a partire da questa esperienza, si tragga qualche indicazione per una gestione più umana delle emergenze future.

In questo quadro è urgente porre una particolare attenzione anche alla questione femminile. Le donne nei contesti di crisi umanitaria e sociale sono doppiamente vittime della guerra e della violenza, nonché – più in generale – di pesanti discriminazioni. Quale coscienza di emancipazione femminile hanno sviluppato le donne in questi luoghi e quali anticorpi creano attraverso l’arte, l’attivismo, la politica per cambiare la loro situazione?

Lavoro e cittadinanza. La mobilità umana è un diritto. Ma è un diritto anche la piena inclusione del migrante, raggiungibile solo attraverso una buona occupazione e una cittadinanza di fatto.

Dopo la pandemia ci troviamo di fronte ad un Paese profondamente cambiato e sono proprio gli immigrati ad aver pagato il prezzo più alto. Con il PNRR si intravede un’opportunità di cambiamento, ma, come molti hanno notato, la voce immigrazione non compare mai. Eppure, una ricostruzione non può essere definita tale, se oltre ad economica non è anche sociale e civile.

L’assenza di vie legali per trasferirsi in Italia da paesi extra UE per motivi di lavoro genera sfruttamento lavorativo. Per questo, anche nell’edizione di Matera si tornati a parlare della piaga del caporalato che riduce i lavoratori ad una condizione di semi-schiavitù e delle lavoratrici di cura, utili e sommerse. Pur essendo figure centrali per molte famiglie, il comparto delle colf e delle badanti è tra quelli in cui si annida maggiormente il lavoro irregolare. Eppure, visto il progressivo invecchiamento della popolazione italiana che renderà sempre più indispensabile la figura delle badanti, le quali a loro volta invecchieranno, occorre ragionare sui meccanismi di ricambio generazionale delle assistenti familiari, anche attraverso delle adeguate politiche migratorie e degli opportuni percorsi formativi che ne definiscano le professionalità. E infine bisogna interrogarsi su cosa significhi l’emersione di quel delicato lavoro di cura privato che consente allo Stato un risparmio complessivo in servizi di miliardi di euro.

Per quanto attiene la riforma della legge sulla cittadinanza (L.91/1992), se ne discute da trent’anni, proponendo diverse denominazioni (ius soli, ius culturae, ius scholae, ecc.) ma, come in un assurdo gioco dell’oca, ci si trova sempre nella stessa casella di partenza.

Oggi, circa il 10% della popolazione scolastica è straniera e nel breve termine rappresenterà una parte importante della popolazione adulta della società italiana. Eppure, un figlio nato da genitori stranieri, anche se generato in territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo la maggior età e mediante diverse lungaggini burocratiche. Proprio in questo momento delicato in cui la crisi sociale ripropone vecchi e nuovi aspetti dell’esclusione e della povertà, non bisogna arretrare sul piano delle lotte di civiltà. Anzi, è proprio questo il tempo per rafforzare il concetto di uguaglianza e vagliare strumenti legislativi capaci di garantirla.

L’Europa e il Mediterraneo. L’Europa, riducendo la sua relazione con i vicini mediterranei all’economia e alla sicurezza, ha reso opaco il rapporto che da sempre esiste fra le popolazioni delle due sponde. Bisogna invece superare la tentazione di ritirarsi ulteriormente nel fortino blindato dell’Europa, per costruire un dialogo più aperto, capace di andare oltre una politica di semplice buon vicinato.

L’Europa mediterranea ha tutti gli strumenti per essere portatrice di una nuova cultura di accoglienza, scambio e crescita, proprio perché ha legami storici, civili e culturali molto profondi con i propri dirimpettai. L’Europa rimarrebbe incompiuta se non ripensasse e rivedesse questi legami. Per questo siamo convinti che solo attraverso il ripristino di un libero movimento di pensiero, cose e persone si potrà raggiungere una fertile e vivace contaminazione che arricchirà entrambi i mondi in tutti gli ambiti.

(Antonio Russo, Vice Presidente nazionale Acli)

 

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