Nel sistema di welfare che abbiamo ereditato, le dimensioni sanitaria e sociale sono state a lungo concepite come tendenzialmente separate. L’invecchiamento della popolazione e, da ultimo, la pandemia hanno invece mostrato in modo piuttosto evidente i limiti e i rischi di questa separazione. È dunque urgente provvedere alla realizzazione di nuovi modelli di cura che prevedano, anche nei fatti, oltre che nelle parole, un cambio di paradigma culturale nell’approccio a un nuovo modo di occuparsi della salute pubblica. Le Case della Comunità rappresentano la leva principale per attuare questa nuova modalità di presa in carico delle persone. A sostegno della loro promozione una conferenza nazionale organizzata a Bologna il 18 novembre 2022 aperta dal contributo del Vicepresidente nazionale Acli Antonio Russo.
Tra i principi fondamentali sui quali regge l’esperienza della Casa della Comunità, l’universalismo, ossia il contrasto attivo di ogni forma di discriminazione e condizionamento selettivo nell’applicazione delle misure; l’uguaglianza e l’equità (anche territoriale); l’effettiva esigibilità dei diritti di ognuno . Si tratta di concetti che pongono tutti i cittadini nelle stesse condizioni di fronte al servizio pubblico che considera come centrale la persona. Ne discende che il sistema sociosanitario, anche a livello locale, dovrà qualificarsi per una capacità di presa in carico rivolta a tutti: gratuita, di qualità, appropriata, sicura, coordinata, continua, efficace e tempestiva. Questi i valori portanti che dovranno ispirare il nostro sistema territoriale di welfare e che trovano nel DM77 alcuni importanti riferimenti. Non sfuggono secondo Russo, insieme agli aspetti positivi, alcune incongruenze contenute nello stesso decreto. “Esso infatti, per le Acli, compie un passo importante verso l’integrazione tra sociale e sanitario, ma mostra anche dei chiari limiti. Nonostante disegni un sistema d’assistenza territoriale con al centro la Casa della Comunità, il DM77 non chiarisce a sufficienza come questa debba essere realizzata. Mancano inoltre indicazioni circa il coinvolgimento attivo della cittadinanza, senza la quale si elimina, di fatto, l’originalità del nuovo modello di welfare locale che le CdC vorrebbero diffondere”. Non meno importante per la realizzazione di una riforma più complessiva che dovrà intervenire sull’architettura generale e sulla nuova infrastrutturazione del sistema di welfare, sarà l’organizzazione territoriale. “A preoccupare oggi non è soltanto l’implementazione del PNRR. Per dar vita a un sistema di cura territoriale occorre anche crearne i presupposti organizzativi. Sappiamo che il DM77 mette al centro i distretti sanitari, ma purtroppo questi spesso non coincidono con i Piani di Zona. Sul piano della governance, dunque, ancora non siamo stati capaci di rendere effettivamente operativa la legge 328/2000 che ha fatto della programmazione locale un potenziale punto di forza e che ha dato prova di essere uno strumento molto efficace di programmazione condivisa. Non ci vuole molto a capire che le mancate coincidenze tra le ripartizioni territoriali (Piani di zona e Distretti) genereranno confusione e costituiranno limiti oggettivi alla realizzazione di una vera e duratura integrazione sociosanitaria”
In conclusione, il Vicepresidente Acli, Antonio Russo, ha voluto sottolineare che il PNRR, il relativo DM77 e la riforma del Terzo Settore che avvia un processo di amministrazione condivisa, costituiscono un’occasione da non sprecare; un’ulteriore opportunità verso quel sistema di welfare pensato dai Padri Costituenti per fare in modo che i diritti iscritti negli articoli 32 e 38 della Carta non diventino diritti di carta.
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