“Occorre contrastare, presto ed efficacemente, quel degrado socio-ambientale che si intreccia con i drammatici fenomeni pandemici di questi anni.”

È con questo obiettivo che la Chiesa il 1 settembre si appresta a vivere la 16ma Giornata Nazionale per la Custodia del Creato, dal 2006 occasione di dialogo e riflessione per la comunità cattolica sulla cura della casa comune.

Non è un caso che nel messaggio si parli di degrado socio-ambientale. All’incuria della casa comune fa infatti sempre da specchio il degrado del tessuto sociale e delle relazioni umane in un circolo vizioso alimentato da un modello di sviluppo ancora predatorio in termini di risorse naturali e squilibrato, se guardiamo al modo in cui la ricchezza viene creata e distribuita.

E sono proprio la connessione tra temi complessi e un approccio olistico ai fenomeni a caratterizzare la visione che la dottrina sociale della Chiesa ha della questione ambientale.

La giornata sarà particolarmente propedeutica alla 49ma settimana sociale dei cattolici italiani che si svolgerà dal 21 al 24 ottobre a Taranto sotto il cappello “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro e futuro. #tuttoèconnesso”.

Proprio la città pugliese è l’emblema di una contraddizione in termini secondo cui tutela dell’ambiente e sviluppo economico siano obiettivi poco perseguibili insieme (meglio il lavoro o la salute?).

Sappiamo invece che investire sull’ambiente e sulla sostenibilità, oltre che ad assolvere al dovere di lasciare alle prossime generazioni un pianeta più sano in cui vivere, vuol dire oggi innovare, vuol dire produrre posti di lavoro e, alla fine della fiera, anche guadagnare di più.

Nel nostro paese le potenzialità da questo punto di vista non mancano. Prendiamo ad esempio alcuni dati relativi all’economia circolare.

Secondo il “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2021” presentato in primavera e curato da CEN-Circular Economy Network e da Enea, l’Italia è per il terzo anno consecutivo prima sommando i punteggi di ogni settore dell’economia circolare. Dopo di lei Francia Germania e Spagna.

Alcuni dettagli. L’Italia ricicla ben il 68% dei rifiuti urbani e speciali; la Francia, seconda in questa particolare classifica, è al 54%.

Il nostro paese primeggia anche per produttività delle risorse.  In Italia ogni kg di risorsa consumata genera 3,3 euro di Pil, contro una media europea di 1,98 euro.

Anche in termini di quota di energia rinnovabile utilizzata rispetto al consumo totale di energia, i risultati sono incoraggianti. L’Italia con il 18,2% contende infatti il podio alla Spagna ed è davanti a Germania e Francia.

Insomma, avremmo le carte in regola per avviare una transizione ecologica che ci deve portare, si legge nel messaggio dei vescovi italiani, ad

“abbandonare un modello di sviluppo consumistico che accresce le ingiustizie e le disuguaglianze, per adottarne uno incentrato sulla fraternità tra i popoli. Il grido della terra e il grido dei poveri ci interpellano”.

Al grido della Terra si è cercato di rispondere al G20 dei Ministri dell’Ambiente lo scorso 22/23 luglio a Napoli. Sono stati toccati argomenti importanti, biodiversità, finanza verde, economia circolare e finalmente si è fatta della questione energetica una questione ambientale e non solo economica.

Tuttavia, sul clima e sugli impegni per la riduzione delle missioni di CO2 gli obiettivi non sono stati raggiunti.

L’obiettivo, anche in vista della prossima COP 26 (Glasgow, 1 – 22 novembre 2021) era quello di alzare l’asticella fissata dagli accordi di Parigi del 2015 facendo impegnare le principali economie, e i principali inquinatori, globali a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi al 2030 e a chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2025. Opposizione di Cina e India e discussione rinviata al G20 dei capi di stato e di governo del 30 e 31 ottobre prossimo.

Difficile dire se sarà risolutivo o meno. Una cosa è certa, il tempo a disposizione è sempre di meno.

Il processo è comunque partito. Certo, per usare una metafora olimpica, più lentamente si percorreranno i primi metri più importante dovrà essere lo sprint per arrivare al traguardo.

L’Europa sta provando a correre e i fondi del PNRR daranno un’accelerata importante per rendere sostenibile l’economia del vecchio continente e anche gli Stati Uniti sotto la presidenza Biden sembrano intenzionati a percorrere il sentiero della sostenibilità.

Tutto questo non basterà se non sarà unito ad un rinnovato impegno per affrontare le questioni sociali e le diseguaglianze connesse al nostro modello di sviluppo.

La transizione green sarà fine a sé stessa se non condivisa e di ampio respiro, ci ricorda ancora la CEI nel messaggio per la Giornata Nazionale per la Custodia del Creato:

“La transizione ecologica è insieme sociale ed economica, culturale e istituzionale, individuale e collettiva, ma anche ecumenica e interreligiosa. È ispirata all’ecologia integrale e coinvolge i diversi livelli dell’esperienza sociale che sono tra loro interdipendenti: le organizzazioni mondiali e i singoli Stati, le aziende e i consumatori, i ricchi e i poveri, gli imprenditori e i lavoratori, le nuove e vecchie generazioni, le Chiese cristiane e le Confessioni religiose… Ciascuno deve sentirsi coinvolto in un progetto comune, perché avvertiamo come fallimentare l’idea che la società possa migliorare attraverso l’esclusiva ricerca dell’interesse individuale o di gruppo. La transizione ecologica presuppone un nuovo patto sociale, anche in Italia”.

È allora principalmente culturale il cambiamento che dobbiamo auspicarci.

Non si tratta “solo” di produrre beni utilizzando meno materie prime o con processi non inquinanti.

Si tratta di passare da un approccio basato sull’accumulo a uno basato sulla distribuzione, dall’interesse personale al bene comune per evitare che quella metà della popolazione globale che possiede solo l’1% della ricchezza del Pianeta, veda sempre più distante l’altra metà che, magari con un abito più green e sostenibile, continua a avere tanto, troppo.