Quali sono gli strumenti per ridurre le diseguaglianze? Come poter generare processi di giustizia nelle nazioni e tra i popoli? Queste erano alcune delle domande da cui ha preso avvio questa campagna come spazio per elaborare e condividere risposte tra diverse realtà associative. Si era partiti, due anni fa, riflettendo insieme sul messaggio della Laudato sii. Dall’inizio di quel cammino di riflessione molti sono stati i cambiamenti: alcuni non hanno mutato segno – l’allargamento della forbice delle diseguaglianze – e altri, come la pandemia, ci hanno colti in controtempo. Ci si può domandare quali tracce di senso possano aiutarci a rispondere alle domande di allora nel contesto odierno. Una di queste è contenuta nella seconda enciclica sociale di Papa Francesco.

In Fratelli tutti affiora il senso di un possibile e diverso legame sociale che possa modificare tutti i rapporti umani. Nella fraternità – che è principio che ci ricorda la comunanza d’origine e la condivisione di un destino comune – si trovano intrecci di una possibile trama di relazioni sociali, economiche e politiche differenti da quelle che abbiamo vissuto finora.

La fraternità ha bisogno di comunità e luoghi in cui trovare radici. Nel pensiero del Papa, la fraternità nasce nella dimensione del piccolo, del locale. Per questo essa vive nello “spirito di vicinato” «dove ognuno sente spontaneamente il dovere di accompagnare e aiutare il vicino. In questi luoghi che conservano tali valori comunitari, si vivono i rapporti di prossimità con tratti di gratuità, solidarietà e reciprocità, a partire dal senso di un “noi” di quartiere» (n. 152).

In questa dimensione di prossimità risiede la possibilità di coinvolgere e sostenere coloro che sono esclusi. Non è casuale che l’enciclica in più punti sottolinei il ruolo dei “movimenti popolari” «che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che non rientrano facilmente nei canali già stabiliti» (n. 169).

Proprio a partire dalla dimensione locale e da quella di coloro che sono esclusi dalle strutture di potere è possibile ri-pensare «alla partecipazione sociale, politica ed economica in modalità tali che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune». Senza l’inclusione di questi settori della società, «la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino»[1].

Non si tratta di una prospettiva localistica o di un comunitarismo autarchico. I movimenti del basso, radicati nel territorio non debbono essere “chiusi” al loro interno e nelle loro finalità poiché «non è possibile essere locali in maniera sana senza una sincera e cordiale apertura all’universale, senza lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, senza lasciarsi arricchire da altre culture e senza solidarizzare con i drammi degli altri popoli» (n. 146). Per questo in Fratelli tutti ciò che sembra dare speranza per un cambiamento è che i movimenti popolari, «queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino»[2]. La riscoperta di questi movimenti dal basso è centrale affinché sia possibile un reale superamento di un’organizzazione socio-economica che si struttura attorno e perpetra le diseguaglianze.

La riflessione di Francesco ci interroga perché chiede ai “corpi intermedi”, tradizionalmente e storicamente intesi, di pensarsi in un modo differente da quanto fatto nel secolo scorso. Francesco, infatti, ci indica la via di un cambiamento del nostro agire con un radicamento saldo nelle relazioni di prossimità e un’apertura che sappia guardare all’universale. È una prospettiva che ci invita a ripensare le strutture delle nostre organizzazioni: come il Papa aveva già fatto in Evangelii gaudium per la Chiesa, ora egli invita a fondare nuovamente le organizzazioni che si occupano di problemi sociali per ripensare l’architettura politica del nostro futuro.

Solo per la via di un ripensamento del nostro modo di agire radicato a partire dagli ultimi, ancor più che mediante la riforma delle – pur fondamentali – istituzioni statali e internazionali, Francesco ci invita a includere tutte le persone e i settori di popolo estromessi dai luoghi di decisione delle comunità e, così facendo, dare voce alle ingiustizie. Ci invita a essere «seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia»[3]; a divenire «“poeti sociali”, che a modo loro lavorano, propongono, promuovono e liberano» (n. 169) poiché capaci di rappresentare un mondo diverso che già da oggi sanno immaginare.

[1] Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari (5 novembre 2016): L’Osservatore Romano, 7-8 novembre 2016, pp. 4-5.

[2] Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari (28 ottobre 2014): AAS 106 (2014), 858.

[3] Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari (5 novembre 2016): L’Osservatore Romano, 7-8 novembre 2016, pp. 4-5.