Fratres omnes. Fratelli e sorelle tutti. Nel segno del Santo di Assisi, Papa Francesco ha scritto la sua terza enciclica; in verità la seconda, considerando Lumen fidei come un’opera a quattro mani con Benedetto XVI. A rafforzare il legame tra il nuovo documento e la testimonianza del Santo povero e dei poveri, alla fine di questa settimana, assisteremo a un gesto simbolico: sabato 3 ottobre Papa Francesco firmerà l’enciclica ad Assisi e alla vigilia della festa francescana.

Le polemiche per il titolo scelto non sono mancate. L’esortazione al solo maschile – fratelli – è parsa ad alcuni una nota stonata. Si tratta, però, di una scelta stilistica e in continuità con l’incipit di Laudato sii. Inoltre sono soprattutto lo spirito e il cuore del messaggio del documento che smentiscono una visione delle parole del Papa che è parsa ad alcuni, a prima vista, viziata dall’esclusione delle “sorelle”: già il sottotitolo, infatti, recita “sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Si tratta quindi di un documento che richiama tutti, fratelli e sorelle, alla “fratellanza universale” che, sull’esempio di Francesco d’Assisi, non abbraccia solo l’umanità, ma tutto il creato.

Il momento deciso per la pubblicazione dell’enciclica non è casuale. Si tratta, infatti, di un testo in profonda continuità con la Laudato sii e, allo stesso tempo, sorto come risposta alle sfide del momento attuale, scaturito dalla riflessione sulle ferite che la crisi pandemica ha prodotto.

Come ogni crisi, quella che stiamo vivendo evidenzia contraddizioni preesistenti. Non che mancassero analisi e proposte per far fronte alle difficoltà che il mondo viveva come, ad esempio, il paradigma di una “ecologia integrale” che ci aveva lasciato in eredità la Laudato sii. Eppure, oggi, di fronte allo sconvolgimento legato alla diffusione del virus, alcune cristallizzazioni e strutture economico-sociali precedenti, che sembravano inamovibili, vacillano. Da ciò deriva l’urgenza di un intervento per un cambio di paradigma non procrastinabile.

Proprio di fronte a questo scenario il richiamo di Francesco a un “slancio fraterno” non può essere sottovalutato per chi intenda compiere il percorso verso la realizzazione di una “ecologia integrale”.

Lo sguardo che muove dalla fraternità, infatti, disvela il volto umano della pace e delle relazioni politiche ed economiche perché rimuove dalla nostra vista quelle sovrastrutture che creano conflitti e divisioni. La vita, infatti, vista attraverso gli occhi della fraternità, ricorda che siamo tutti fratelli, pur nel ricco pluralismo di realtà, culture e tradizioni, e che si deve ripartire da ciò che è comune per creare legami tra i singoli e tra i popoli. Così il potere (economico, politico e sociale) tramuta in servizio nel riconoscimento del sentirsi fratelli, debitori di restituire ciò che di meglio possiamo offrire a coloro che non ci sono estranei.  

Una diversa visione delle relazioni, dominante nella riflessione sul potere politico ed economico della modernità e impregnata nell’individualismo, moltiplica invece le chiusure all’interno di fittizi legami identitari e di confini statistici e disumani; genera conflitto e il mantenimento – come già possiamo osservare nella “guerra fredda” per la distribuzione del vaccino contro il Covid – di diseguaglianze croniche e ingiuste all’interno dell’umanità.

In questo scenario un ruolo fondamentale deve essere giocato dalle religioni, come hanno riconosciuto alcune delle più importanti autorità religiose nella Dichiarazione sulla fratellanza umana firmata il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi. Un compito che diviene specifica testimonianza per i cristiani poiché «la forma compiuta della relazione interpersonale – ha scritto Piero Coda – è la fraternità come reciprocità dell’agápe in Cristo, che presuppone ed esprime la libertà del singolo, e che come tale costitutivamente s’apre nella dedizione e nel dialogo con chiunque sia impegnato nella ricerca della verità e della giustizia».

In attesa di poter leggere le parole di Papa Francesco, l’enciclica già ci interroga come persone e associazioni radunate in questa campagna, “Chiudiamo la forbice “, che è nata per tradurre gli insegnamenti “sulla cura della casa comune”. Potrebbe forse sorgere la tentazione di pensare: riproporre oggi la fraternità è pura un’utopia, un disegno smisurato rispetto alla realtà per quella che è stata ed è. Eppure a noi sta il compito, in un’ora buia dell’umanità e del nostro pianeta, di provare ad indicare una luce. Essa passa e passerà soltanto dalla fessura del saperci sorelle e fratelli, gli uni per gli altri.