Il messaggio che Papa Francesco ha voluto lanciare “alla città e al mondo” per la Pasqua è stato “irrituale”. Insolito, perché preceduto dal vuoto lasciato dall’assenza dell’omelia durante la messa di Pasqua. Inconsueto, perché carico, più che di auguri, di proposte concrete per il futuro dell’umanità. Inusuale, perché è stato un augurio pronunciato con un velo di tristezza e di grave preoccupazione per il tempo che viviamo e per l’avvenire in cui stiamo entrando.

L’irritualità del messaggio è dovuta alla “sintonia” con il momento difficile in cui siamo piombati, da un giorno all’altro, da più di un mese. Il messaggio Urbi et orbi è stato, innanzitutto, un “sentire” le difficoltà di questo nostro momento. Siamo davanti alla « notte di un mondo già alle prese con sfide epocali ed ora oppresso dalla pandemia»: non possiamo nasconderci, anche in giorni di festa, la drammatica realtà della diffusione del virus e della crisi socio-economica che seguirà.

Ricorderemo questa Pasqua come quella della «solitudine, vissuta tra i lutti e i tanti disagi che la pandemia sta provocando, dalle sofferenze fisiche ai problemi economici». Una Pasqua di «preoccupazione per l’avvenire che si presenta incerto, per il lavoro che si rischia di perdere e per le altre conseguenze che l’attuale crisi porta con sé». Francesco, proprio in questo tempo, con tutta la Chiesa, si fa vicino soprattutto a coloro che soffrono per la pandemia e per coloro che, in prima linea, lavorano per sconfiggerla.

Il cuore del messaggio è racchiuso nei quattro “mali” del mondo di ieri che non possono attanagliare quello di domani: così la benedizione Urbi et orbi si pone al crinale del mondo che è stato e lancia un monito per l’età di domani.

Non si può sopportare, ha detto Francesco, l’indifferenza verso gli ultimi del mondo e verso i Paesi più poveri della terra. Per far fronte a questa emergenza e garantire l’assistenza sanitaria, Francesco propone che «si allentino pure le sanzioni internazionali che inibiscono la possibilità dei Paesi che ne sono destinatari di fornire adeguato sostegno ai propri cittadini e si mettano in condizione tutti gli Stati, di fare fronte alle maggiori necessità del momento, riducendo, se non addirittura condonando, il debito che grava sui bilanci di quelli più poveri».

Non ci si può dividere dietro egoismi dinnanzi a un’epidemia che ci accumuna universalmente. Il Papa rivolge un pensiero all’Unione Europea a cui va un vero e proprio monito: «non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative». Una diversa strada porterebbe solo all’«egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni».

Il terzo male è rappresentato dalle divisioni della guerra: «non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite». Raccogliendo e rilanciando l’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, Francesco invoca l’immediata cessazione delle ostilità che, in tempo di pandemia, producono morte su morte.

Non bisogna, infine, cedere alla dimenticanza. L’attuale crisi, infatti, non deve distogliere l’attenzione dai tanti focolai di guerra che erano aperti prima del diffondersi del virus. In particolare Francesco ha ricordato le situazioni in Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, quella del Venezuela e dei migranti e rifugiati in Libia e al confine tra Grecia e Turchia.

Paura e morte sono i frutti dell’indifferenza, degli egoismi, delle divisioni e della dimenticanza. Francesco, annunciando la Pasqua, invita tutti, soprattutto i cristiani, a viverla fattivamente, non come «una formula magica, che [fa] svanire i problemi», ma con azioni concrete per il mondo di domani. Il Papa non manca di tracciare l’orizzonte di quest’azione secondo tre impegni: l’abolizione delle sanzioni internazionali e del debito dei Paesi più poveri per garantire la vita e la salute delle persone; «soluzioni innovative» di solidarietà – particolarmente in Europa – per sostenere il lavoro e rapporti economici più equi; la cessazione di ogni conflitto e la memoria delle piaghe provocate dalla guerra per salvare la vita a coloro che sono esposti al doppio fuoco delle armi e del virus. Sono proposte concrete che costituiscono un impegno “politico” del nostro domani e che, pertanto, non devono essere lasciate cadere.

La Pasqua, infatti, è la certezza della «la vittoria dell’amore sulla radice del male, una vittoria che non “scavalca” la sofferenza e la morte, ma le attraversa aprendo una strada nell’abisso, trasformando il male in bene». La Pasqua, per il mondo che verrà, non potrà che venire con l’esercizio operoso del «diritto fondamentale alla speranza» – come il Papa ci ha ricordato nella veglia pasquale – che con la Resurrezione ci è donato, ma che si realizza sotto forma di co-responsabilità per tutti gli uomini. Il messaggio “irrituale” del Papa ci ricorda che la nostra Pasqua può essere l’inizio di una nuova speranza solo se, insieme, coopereremo per la salvezza di un mondo che è piombato nell’oscurità e che ha bisogno, ora più che mai, di una luce rinnovata per conoscere l’aurora.