In questi giorni mi è ricapitata tra le mani la Dichiarazione Universale dei Diritti umani. È il testo tragico e bellissimo firmato dalla comunità internazionale nel 1948. Bellissimo perché popoli, culture e nazioni diverse di fronte alle atrocità della seconda guerra mondiale ebbero il coraggio di dare forma ad un “mai più”. Tragico perché dopo oltre 70 anni, mi rendo conto che in molte aree del mondo quei principi sono rimasti completamente sulla carta.

Ripercorro quei trenta articoli. Leggo parole come pietre sulla libertà, sull’uguaglianza di ogni uomo e donna, sul diritto alla vita, alla sicurezza, alla mobilità. Rimango incantato dalla passione con cui furono difesi i principi della libertà di pensiero e di religione, il diritto all’istruzione, al lavoro, alle cure. Anche alla Bellezza: la possibilità di godere dell’arte, della cultura.

Nella Dichiarazione Universale i diritti umani non sono principi astratti, ma la risposta concreta per provare a difendere la dignità e il benessere di tutti. Mi ci riconosco, mi ci rispecchio: questa è davvero civiltà! Poi penso alle incongruenze di questi decenni e di un presente che sembra sfuggire al nostro controllo.

Penso alle decine e decine di guerre dell’ultimo secolo, ai milioni di vittime innocenti, ai trilioni di dollari investiti in armamenti. Follia!

Guardo le immagini che arrivano da Kabul, la disperazione della gente pronta ad attaccarsi alle ali di un aereo in decollo pur di fuggire. Follia!

Penso ai venti anni di guerra in Afghanistan, all’impegno fallito dell’Occidente a stabilizzare la regione, alle illusioni tradite di tanta gente che pensava di essersi messa alle spalle l’estremismo. Follia!

Non mi do pace per le responsabilità che vedo distribuite tra tanti, per i Paesi che continuano ad armare, ad alimentare guerre per procura, ad anteporre i propri interessi alla vita della povera gente. Follia!

Allo stesso tempo, soffro per l’indifferenza di chi vive in sicurezza, di chi sistematicamente ha altro a cui pensare, di chi non accetta di guardare oltre il proprio naso, di chi semplicemente lascia fare. Follia!

Di fronte a tutto questo, è molto difficile sperare. Eppure, basterebbe tornare alla saggezza dei nostri padri, di chi nel 1948 provò a fissare le condizioni minime per definire vita la vita. Oggi, il compito è nelle nostre mani: spetta a noi dare carne e visione a quelle parole. Spetta a ognuno di noi testimoniare concretamente che dire pace, dire giustizia, dire solidarietà non significa dare fiato a belle speranze, ai sogni di romantici idealisti. È l’esatto contrario. Ma solo se lo vogliamo.

Diritti sulla carta? Purtroppo sì. Spero che da oggi tornino nella vita. 

 

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