Dal 6 al 27 ottobre di un anno fa si teneva a Roma il Sinodo per l’Amazzonia. Damiano Raspo, prete della diocesi di Fossano, già fidei donum in Brasile, ha seguito da vicino questo Sinodo sia nella fase di preparazione in Brasile con la Repam sia nella fase di svolgimento a Roma un anno fa. A lui abbiamo rivolto qualche domande.



Don Damiano, ad un anno dal Sinodo per l’Amazzonia che bilancio si può tracciare?

Conservo una gratitudine enorme per quei giorni di festa, di celebrazioni, di riflessioni di grande respiro e intensità. È stata una festa, una gioia evangelica ovvero “buona notizia che ha messo in atto dei processi che porteranno frutti abbondanti.

Quali?

Il primo ce l’abbiamo già, ed è l’esortazione post sinodale  di papa Francesco Querida Amazonia, pagine intense frutto dell’ascolto e del dibattito sinodale, con le linee programmatiche per le chiese in Amazzonia nei prossimi anni. Sottolineo un tratto nodale del testo, il tratto del sogno decodificato in 4 parti dell’Esortazione, unsogno profondamente biblico che innerva le scritture dell’Antico e Nuovo Testamento e innerva i sogni dei popoli originari dell’Amazzonia. Ho presente il sogno del popolo indigeno xavante cantato durante la celebrazione eucaristica nei loro villaggio al momento del Santo. E così il sogno diventa preghiera:facciamo diventare nostra questa preghiera. Lode a Dio ma anche impegno dell’uomo e della donna in Amazzonia perché i sogni di Dio diventino i sogni dell’uomo. Questo papa Francesco lo desidera per il cammino della chiesa nei prossimi decenni e cercherà di farlo diventare realtà. Diceva dom Heldel Camara: “Sognare insieme, far diventare i sogni realtà”. E poi c’è un secondo frutto del Sinodo…

Prego…

Il Sinodo per l’Amazzonia aveva previsto la costituzione di un organismo ecclesiale per promuovere la sinodalità tra le chiese della regione, che aiutasse  a delineare il volto amazzonico di queste chiese e che continuasse la ricerca di nuovi cammini per una evangelizzazione missionaria. Il 29 giugno scorso è stata ufficializzata la costituzione della Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia, ed è stato chiamato alla presidenza il card. Claudio Hummes, presidente della Rete Ecclesiale PanAmazzonica (REPAM). Nel comunicato ufficiale si legge che «La Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia vuole essere una buona notizia e una risposta opportuna al grido dei poveri e della madre terra, si pone come un canale efficace per raccogliere, a partire dal territorio, molte delle proposte sorte nel Sinodo speciale per la regione PanAmazzonica».

Tradotto nella realtà ecclesiale cosa comporta?

E’ un cambio straordinario nell’azione pastorale. La conferenza ecclesiale non è una conferenza episcopale, quindi non è composta solo da vescovi, ma da vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici, rappresentanti di varie realtà che vivono e compongono l’Amazzonia. E’ un organismo dove la sinodalità diventa costitutiva e istitutiva della chiesa in Amazzonia. E’ qui che devono maturare quei frutti previsti dal Documento Finale del Sinodo, che il papa all’inizio di Querida Amazonia (n.3) presenta ufficialmente, dicendo «ci offre le conclusioni del Sinodo e a cui hanno collaborato tante persone che conoscono meglio di me e della Curia romana la problematica dell’Amazzonia, perché ci vivono, ci soffrono e la amano con passione. Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente».

I giornalisti leggendo il Documento Finale e poi la Querida Amazonia,  hanno diviso tra perdenti e vincitori. Lei dove si pone?  

Non penso sia una logica corretta. La logica del vangelo e della chiesa non è dividere tra vincitori e vinti, per la logica evangelica dobbiamo lasciare molte cose, e anche questo tempo di Covid ci sta insegnando qualcosa. Io non penso che stiamo perdendo tempo nell’attuazione delle indicazioni scaturite nei lavori del Sinodo per l’Amazzonia e contenute nel Documento Finale, sono convinto che sia un tempo salutare -questo- vissuto nello stile amazzonico, con la cosmovisione tipica di quei luoghi, un tempo nel quale far germogliare  la semente piantata nei giorni del Sinodo a Roma e prima ancora nella fase di ascolto della realtà locale. Siamo in una profonda linea evangelica, profetica direi, vista da papa Francesco nel sinodo dell’Amazzonia.

Perché l’Amazzonia, area sterminata e poco disabitata, è diventata paradigma per l’andare della chiesa nel mondo?

L’Amazzonia è nel cuore di tutti, è riconoscibile e i drammi che oggi accadono in Amazzonia sono più evidenti al mondo.  L’Amazzonia parla anche a nome di tante terre, acque, arie ferite nel mondo che non hanno voce, che non sono riconosciute. Ecco il compito anche simbolico di questa terra. Tutto quello che si tratta attorno alla questione non solo ecclesiale ma anche civile in Amazzonia evoca drammi, ferite o processi ecclesiale anche di altre parti del mondo. Dai popoli dell’Amazzonia impariamo la pratica della sinodalità, che diventa stile di vita ecclesiale dal basso verso l’alto per affrontare le sfide di questi tempi.