[foto di copertina: disegno di Stefano Angiulli, 4 anni, vincitore del concorso della nostra Campagna]

Il 20 febbraio 2020 si celebra la Giornata mondiale della Giustizia sociale, istituita dall’Onu nel 2007. Il tema di quest’anno è “Colmare il gap delle diseguaglianze per raggiungere la giustizia sociale”.

Secondo il rapporto Oxfam: «Nei 10 anni successivi alla crisi finanziaria il numero di miliardari è quasi raddoppiato; nell’ultimo anno la ricchezza dei miliardari del mondo è aumentata di 900 miliardi di dollari (pari a 2,5 miliardi di dollari al giorno) mentre quella della metà più povera dell’umanità, composta da 3,8 miliardi di persone, si è ridotta dell’11%; la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani: l’anno scorso soltanto 26 individui (contro i 43 dell’anno precedente) ne possedevano tanta quanto la metà più povera dell’umanità, ossia 3,8 miliardi di persone.

A San Paolo, in Brasile, dove mi trovo per organizzare un’esperienza missionaria per i giovani italiani, la diseguaglianza sociale sembra essere la normalità.
Camminando per strada ci si imbatte allo stesso tempo con la parte agiata della popolazione, una stretta minoranza, e quella impoverita che rappresenta la stragrande maggioranza. Donne e uomini che investono la propria giornata nella ricerca di quel poco che basta tanto per sopravvivere.
Se questa realtà è molto più diffusa e visibile nelle periferie, nei quartieri del centro rimane nascosta nelle ore diurne ma al calare del sole, chi dorme nella calma e nella sicurezza del giorno per vivere la notte, riempie le strade e la città mostra il suo vero volto.

La Grande San Paolo ospita 22 milioni di persone, molte attività sono fiorenti e il progresso tecnologico sbalordisce a tal punto che le metropoli della vecchia Europa a confronto, sembrano dei piccoli villaggi in una sfera di cristallo con la neve finta.
Lo Sky Line non ha nulla da invidiare a quelli del Nord America; i grattacieli formano un’enorme foresta, laddove un tempo gli alberi maestosi formavano la vera foresta, quella Atlantica.
L’aspetto più caratteristico però sono le “Comunità”, insediamenti di case in lamiera o mattoni, separate da strade tanto strette da permettere solo i passaggio pedonale o in moto, che occupano e riempiono gli spazi abbandonati dal progresso cittadino. Questi luoghi, che solitamente vengono definiti da una parola che la popolazione Paulista ritiene offensiva, ragione per cui non la citerò, sono la dimora della percentuale più alta dei cittadini.

Spostandosi verso la periferia, questi gruppi di abitazioni diventano sempre più frequenti, occupano intere colline e gli alti palazzi si scorgono solo guardando l’orizzonte.
La gente del posto è cordiale, non vede l’ora di stringerti la mano e strapparti un saluto. L’architettura però, sbarre sulle porte e sulle finestre, racconta di una terribile realtà: quella di chi si spinge a gesti di disperazione costretto dalle necessità di uno stile di vita folle secondo il quale se non possiedi, non sei nessuno.
I racconti del passato delle persone anziane, le musiche e i balli caratteristici in questi giorni del Carnevale, raccontano di un passato diverso, nel quale le priorità di questa gente erano altre.
Ci si chiede costantemente cosa spinga tutti ad affannarsi per raggiungere conquiste legate sempre meno al reale benessere e più ai modelli che l’alta società propone.

Incontrando i giovani e le famiglie mi sono chiesto spesso: perché? Perché costruire abitazioni precarie, dove la rete idrica arriva a malapena e quella elettrica nella migliore delle ipotesi è un groviglio di cavi? La risposta è sempre la stessa: perché non ci sono alternative.

Ecco il grande mostro che il nostro sistema economico ha creato: la rassegnazione.
Questo morbo affligge ormai metà della popolazione del nostro Pianeta, la stessa metà che subisce gli effetti della vita agiata di pochi. Basti pensare che nel breve periodo in cui mi trovo qui due alluvioni hanno colpito la provincia, trascinando via le abitazioni e le strade nel mese che dovrebbe essere quello più caldo e soleggiato.
E mentre gli impoveriti lottano per uscire da questo fango da qualche parte nel mondo c’è chi cerca il modo di allargare il gap, di “aprire la forbice” e trarre profitto da tutto ciò.
Ma cosa posso fare io? Io che sogno la Giustizia sociale?
I passi da compiere sono molti ma conosciamo la strada. In questo mondo ce ne sarebbe per tutti e certamente l’impegno che possiamo assumere ora, in questo momento, per combattere le diseguaglianze, è quello di dare speranza a chi l’ha già persa da tempo perché solo così, donne e uomini liberi dall’oppressione e dalla miseria riusciranno ad alzare la testa per dire “basta”.