L’amicizia non conosce spazi, non conosce confini, nemmeno il tempo e la morte possono fermarla. Quando penso a Madre Teresa di Calcutta, per me è così. Ho avuto la fortuna di incontrarla tante volte, di sentirla vicina in alcuni passaggi importanti della mia vita, mano a mano che la strada del Sermig di allargava.

Ho tanti ricordi, ma porto nel cuore soprattutto due “lezioni”.

La prima è nel campo della misericordia: una lettera autografa, senza data, che abbiamo ritrovato nel nostro archivio dopo la sua morte. La Madre riassumeva in una frase l’impegno di una vita:Penso che dobbiamo prendere la Madonna con noi e insieme a lei andare alla ricerca dei bambini, dei giovani, per portarli a casa”. Per me oggi quelle parole sono come un mandato, perché sento nel profondo che i giovani nelle nostre società sono davvero i più poveri tra i poveri, messi in un angolo, chiamati in causa solo come fette di mercato o quando sbagliano. Ma i giovani meritano molto di più! Chiedono credibilità e verità, vogliono sapere se l’adulto che hanno davanti dice davvero le cose in cui crede o se vende fumo. Chiedono un mondo più giusto, ma molto spesso non hanno il coraggio di costruirlo, sono i primi a non crederci, a condannarsi a una vita vuota, a vivacchiare. Per questo, “portarli a casa” è il gesto più profondo e alto di misericordia. Ma cosa significa? Qual è la casa che Madre Teresa indicava ai giovani? Molto semplice. Tornare a casa significa ritrovare il senso del vivere, restituire ai giovani la gioia di sapere perché sono al mondo, il senso di poter costruire insieme.

Poi, una seconda lezione che ho capito dopo la sua morte, quando sono stati resi pubblici i suoi scritti in cui parlava del buio, della cosiddetta “assenza di Dio” che sentiva dentro. Non me ne ero mai accorto. Negli occhi avevo sempre visto luce, serenità, profondità. Era il riflesso degli sguardi che incrociava ogni giorno: il volto di un povero, di uno smarrito, di una umanità che non considerava mai uno scarto. Altri di fronte a tanto dolore, al “silenzio” di Dio, sarebbero scappati, forse avrebbero messo da parte anche la loro vocazione. Eppure, nella Madre il senso di responsabilità era più forte di tutto, la spinta che consolava, incoraggiava, faceva compagnia. I più poveri tra i poveri erano per lei il banco di prova di questa responsabilità, l’occasione per capire che fede è vedere oltre, anche oltre i propri limiti, la propria fatica. Una lezione che non dimenticherò mai, che abbino a una frase del mio miglior amico, dom Luciano Mendes De Almeida. Una volta mi disse: “Se potessi vedere Gesù faccia a faccia, preferirei non vederlo”. “Davvero dom Luciano?”. “Sì, altrimenti non avrei bisogno della fede”.

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