C’è una frase che abbiamo imparato vivendo all’Arsenale della Pace: ogni situazione, anche la più difficile, può cambiare, ma solo se accettiamo un metodo e una severità. Non significa essere cattivi, ma avere il coraggio di guardare in faccia la realtà che abbiamo davanti, amandola senza sconti. Una regola che vale per la vita delle persone, ma anche dei nostri quartieri che spesso ci mettono di fronte a sfide complesse. In questi giorni abbiamo sotto gli occhi le contraddizioni che vivono alcune periferie della nostra città: episodi di violenza, di illegalità, a volte di soprusi. Lo dico senza ipocrisia: il tema della sicurezza per chi abita in queste zone non è uno slogan politico, ma un diritto da garantire, su cui è possibile fare di più.

Credo però che il nostro compito sia molto più grande perché la sicurezza da sola non basta. Come cittadini siamo chiamati a ricucire il tessuto sociale delle nostre città, a unire le forze anche ideali per affrontare ogni problema. Noi lo abbiamo capito tanti anni fa quando ci furono affidati i ruderi del vecchio arsenale militare di Torino. Quel pezzo di Borgo Dora usciva da anni di abbandono e di marginalità. Ci trovavamo di fronte all’impossibile, al sogno di una riconversione per nulla scontata. Siamo riusciti nell’intento sicuramente perché tanta gente si è unita a noi e ci ha aiutato, ma direi che il primo passo è stato abitare quegli spazi. Abitarli nel senso di farli diventare casa dei nostri sogni, dei nostri ideali, delle nostre potenzialità di bene, dei nostri progetti. Poi, è servita molta costanza, l’altra faccia della pazienza, la scelta del cuore e dell’intelligenza che ti fa vedere oltre le difficoltà, le opportunità nei problemi, la pienezza nei vuoti. Infine, il metodo e la severità che possono essere alla base di un vero e proprio patto tra realtà diverse. Se l’obiettivo è comune, ognuno può davvero fare la propria parte.

Credo che questo modello sia replicabile. Un quartiere può cambiare, può ricucire le sue ferite, ma serve molto impegno, visione, un progetto di medio lungo termine perché nessuno ha la bacchetta magica. Sarebbe bello se le istituzioni, le associazioni, la Chiesa, le scuole, ma anche i residenti unissero le forze, per mettere in circolo idee e progetti di cambiamento, riscoprendo ognuno il proprio pezzo di responsabilità. Certo, è una semina, ma con perseveranza arriveranno anche i frutti.

Detto questo, c’è un ultimo aspetto da non dimenticare, quello delle fragilità sempre più diffuse: fragilità economiche, ma soprattutto psicologiche. Gli anni della pandemia stanno lasciando un’eredità pesante nei nostri quartieri. Ce ne stiamo rendendo conto anche dalle richieste e situazioni che ci vengono portate all’Arsenale della Pace. La fragilità è un’altra forma di marginalità che non possiamo ignorare. Dobbiamo prendercene cura, fasciarla di attenzione, altrimenti i problemi diventeranno sempre più gravi.

È difficile sperare in un cambiamento? A volte sì, non lo nego. Ma è possibile vedere i nostri quartieri già trasformati. Proviamo a immaginare soluzioni e poi diamoci da fare. Senza paura.

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