Nelle ultime settimane le cronache di diverse città hanno dato grande risalto al fenomeno delle cosiddette baby gang: bande di giovanissimi, l’una contro l’altra, disposte a picchiare, rubare, nei casi più gravi anche a molestare sessualmente. Di fronte a queste realtà soffro, mi interrogo, cerco di capire. Ma mai come in questi momenti mi viene in mente l’immagine evangelica delle pecore senza pastore. Non mi è mai piaciuto chi demonizza i giovani, chi liquida certi fenomeni con giudizi sommari o analisi sociologiche che lasciano il tempo che trovano. Credo piuttosto che la fotografia di un disagio debba tenere conto di tante sfumature, perché in fondo i giovani sono lo specchio di noi adulti, molto spesso il risultato di quello che non siamo stati capaci di dare.

Se penso alla mia giovinezza, mi porto dentro un ricordo ancora vivo. Io, mia moglie Maria e i nostri amici in ascolto di un uomo vestito di bianco. Non era un papa, ma frère Roger, fondatore della comunità di Taizé in visita a Torino. Era un uomo buono e appassionato, credibile, comunicava senza effetti speciali l’autenticità che viveva. Quel giorno ci consegnò un concetto bellissimo. Disse che sarebbe bastato un pugno di giovani per cambiare il corso della storia di una città, di un Paese, in definitiva del mondo. Mi incantò e nel cuore sentii che aveva ragione, che quello che diceva era realmente alla mia portata. Lo dico sempre: il cammino del Sermig, degli Arsenali in Italia e nel resto del mondo, partì da quella scintilla, da quell’esempio, da un metodo semplice che però deve diventare impegno di vita. La differenza del resto può farla solo l’ideale che metti al centro di tutto. Perché per paradosso anche una baby gang può cambiare il corso e la vita di una città.

La strada però è un’altra: è scegliere il bene, la bontà che disarma, una vita pulita. Una strada che non si può percorrere da soli, ma solo insieme. Nella mia esperienza ho incontrato davvero milioni e milioni di giovani. Conosco il loro cuore e i loro sogni. So di quanto bene possono essere capaci, ma conosco anche i loro abissi. Penso a quanti continuano a perdersi dietro alla droga e a dipendenze infami. Una volta decisi di sfidare un gruppo di ragazzi che mi ascoltava. Quasi gridai: “Se tra voi ci fosse un nuovo Francesco, un nuovo Einstein o un nuovo Leonardo e decideste di drogarvi, come farebbe a fiorire, ad emergere, a prendere il largo? E voi che dite di battervi per la legalità, quando comprate droga chi credete di finanziare? La mafia. Quindi se vi drogate sarete amici delle mafie”. Quando parlo così, chi mi ascolta fa silenzio. Forse sente per la prima volta parole così chiare, o forse si sente interpellato nel profondo, nel buono che nonostante tutto continua a farsi strada.

Io non giudico, ma amo, cerco di indicare la bellezza dello spendersi, del credere in un ideale, di battersi per un mondo diverso dove tutti possano mangiare, andare a scuola, curarsi, avere un lavoro e una vita degna. Proprio come fece frère Roger con me e i miei amici.

Credo che questo atteggiamento sia il modo migliore per imparare a custodire la vita. Un impegno che riguarda tutti. Noi adulti siamo chiamati ad essere credibili e anche a chiedere scusa ai giovani per averli trasformati in una semplice fetta di mercato, per l’esempio che non siamo riusciti a dare, per aver alimentato un mondo che non dà spazio alle nuove generazioni. Ma anche i giovani hanno un compito di custodia. Prima di tutto verso sé stessi, verso la propria libertà. Perché la vita è nelle loro mani e spetta a loro decidere che cosa farne. Sono loro a poter dire i sì e i no che contano, ad ascoltare la coscienza che parla, a dover scegliere quello che è giusto o sbagliato. I giovani però possono essere custodi anche dei loro coetanei. Se un mio amico fosse in difficoltà o stesse per prendere una cattiva strada, farei di tutto per convincerlo, per proteggerlo, per sostenerlo. Ogni giovane può essere davvero custode.

Solo così la difesa della vita non sarà un concetto astratto, un impegno generico, una questione di buoni sentimenti. Al contrario, saranno parole, fatti, azioni concrete che lentamente, ma decisamente sapranno diventare speranza. Io ci credo, l’ho visto, so che è possibile. Crediamoci in tanti!

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