Colpisce vedere, nella tragica situazione che stiamo vivendo, come le soluzioni che vengono proposte e praticate siano in sostanza quelle stesse azioni che ci hanno condotto precisamente nella situazione in qui siamo: per fermare la guerra, si mandano più armi; così come per diminuire la dipendenza dall’energia di origine fossile prodotta in Russia, si propone di aumentare il ricorso all’energia fossile prodotta sul nostro territorio… E’ chiaro a qualunque osservatore che la scellerata invasione dell’Ucraina ha impresso una svolta nella storia del nostro tempo, e richiede di riaggiustare la direzione del nostro cammino. Non è facile farlo, lo sappiamo, ma il problema è capire verso dove, perché non ci sono ‘scelte obbligate’ e ogni scelta ha delle conseguenze.

La guerra che viviamo è solo l’ultima in ordine di tempo: segue infatti il periodo della guerra contro la pandemia, che a sua volta aveva fatto irruzione in una situazione di crisi economico finanziaria che non aveva precedenti nella storia globale dalla seconda metà del secolo XX. Sullo sfondo, in tutti questi anni, la crescente consapevolezza dei limiti del nostro pianeta, e che ci troviamo su un treno diretto a grande velocità verso il disastro; e la crescente consapevolezza di quanto le disuguaglianze rappresentino una caratteristica chiave di questo tempo di forti e spesso tragici cambiamenti.

In questo susseguirsi di crisi rischiamo di perdere la bussola, e non cogliere alcuni elementi di fondo, ed in particolare il fatto che nessuna di queste manifestazioni irrompe sulla scena in modo improvviso e causale, e nessuna di esse è deterministicamente necessaria. Al contrario, ognuna di queste crisi ha delle cause o dei contesti entro cui prende forma ed esplode; ugualmente ognuna di esse deriva da scelte ben precise, mai obbligate, sempre frutto di convergenze politiche e sociali.

Le disuguaglianze rappresentano per molti aspetti un elemento centrale: esse determinano infatti chi paga il costo delle trasformazioni complessive. Chi paga il costo del cambiamento climatico? Chi è più colpito dalla guerra? Chi ha subito più severamente i contraccolpi del COVID19, sia da un punto di vista sanitario (accesso ai servizi), che in termini delle conseguenze sociali ed economiche? La risposta è sempre la stessa: le fasce sociali più povere e vulnerabili. Si tratta di una risposta in qualche modo scontata, ma tutt’altro che necessaria: è ovvio infatti che chi si trova a fare le scelte politiche che determinano questi cambiamenti occupi posizioni nella società ben lontane e distinte da chi di queste scelte paga il prezzo. In una società diseguale, sempre più diseguale, queste posizioni sono sempre più distanti, con il rischio di scivolare verso quello che un economista come Branko Milanovic (portatore di posizioni tutt’altro che sovversive!) chiama ‘plutocrazia’.

Le disuguaglianze – dunque –  sono il frutto di scelte che scaricano sui più deboli e i più fragili il costo di degli eventi e dei fenomeni più tragici (anch’essi frutto di scelte ben precise, peraltro). E quali sono queste scelte? Eccone una: da dieci anni giaceva inutilizzata una direttiva europea, la direttiva 55/2001, che consente ai paesi membri la possibilità di definire l’ambito di applicazione per la ‘protezione temporanea’. Si tratta di uno strumento giuridico che permette di offrire accoglienza e protezione immediata – anche se temporanea –  a chi scappa dalla guerra, in questo caso la guerra in Ucraina; uno strumento che l’Europa si è ben guardata da utilizzare per i profughi di altre provenienze. Quando è emersa la possibilità, sono state diverse le voci di consenso: dieci anni ci sono voluti, e dei profughi di pelle chiara… ma questa è davvero una svolta, almeno!

Non è così, purtroppo. L’Italia (con il DCPM del 28/03/22) si è allineata alla maggior parte dei paesi dell’Unione Europea (spinti dal cosiddetto gruppo di ‘Visegrad’) che solo in pochi casi hanno accolto l’invito della commissione ad estendere la protezione ad altre categorie di persone in fuga, come i cittadini di Stato terzo regolarmente soggiornanti in Ucraina con permesso di soggiorno non permanente oppure coloro che sono fuggiti dall’Ucraina non molto tempo prima del 24 febbraio 2022 o che si trovavano nel territorio dell’Unione a ridosso di tale data; senza parlare di coloro che erano in attesa di protezione internazionale o addirittura irregolarmente presenti in Ucraina, neanche menzionati dalla decisione del Consiglio Europeo presa in applicazione della Direttiva 55/2001[1]. In altre parole, ci sono profughi e profughi; tutti muoiono sotto le stesse bombe, oppure cercano di sfuggire ad esse ma purtroppo i più fragili e vulnerabili non hanno diritto a nulla. Si tratta di una decisione scandalosa, improntata a un’idea di ‘diritti differenziati’ che grida vendetta rispetto ai valori fondanti dell’Europa Stessa.

Non si tratta forse di un autentico scandalo? Un miserabile piatto di lenticchie pagato a chi magari su altri tavoli sostiene l’aumento delle spese militari? Peraltro lo stesso miserevole piatto di lenticchie di chi ha mimato l’opposizione alle spese militari stesse, ma che non coglie la necessità di assicurare diritti non ‘a strati’ ma per tutelare la dignità di tutte e tutti, soprattutto le persone più fragili e vulnerabili?

Se si voleva lottare veramente per un mondo più giusto, più inclusivo, meno disuguale, si tratta di una occasione persa. Una occasione persa anche per arrossire, con buona giustificazione, da parte di chi compie queste scelte, che riproducono le ingiustizie contro cui è invece necessario lottare.

 


[1] https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-protezione-temporanea-per-le-persone-in-fuga-dall-ucraina-alcuni-profili-critici