Le statistiche internazionali sono sempre abbastanza difficili da leggere. Ma è difficile negare che la povertà nel mondo sia ancora un problema che stringe in una morsa centinaia di milioni di persone. Secondo la Banca Mondiale sono non meno di 689 milioni le persone che vivono in situazione di povertà estrema, ma quasi la metà di tutti gli abitanti del pianeta (il 43,6%), sono costretti a vivere con meno di 5,50 USD al giorno (una soglia che molti economisti ritengono più rappresentativa di quanto serva realmente per condurre una vita dignitosa). Sono cifre impressionanti, che per la prima volta in 20 anni sono probabilmente destinate ad aggravarsi nel 2020.

E’ un problema che tocca tutti i paesi, ed in ultima analisi ciascuno di noi. Come ci ha ricordato Papa Francesco nel messaggio per la IV Giornata del Povero (15 novembre 2020), proprio il momento della pandemia, in cui ci scopriamo tutti impreparati e fragili “è un tempo favorevole per sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo”. E’ un richiamo forte alla nostra responsabilità, in un mondo nel quale ciascuno di noi deve fare la differenza. L’esercizio di questa responsabilità non può però limitarsi ad un vago senso di empatia, o ad un solo gesto compassionevole, senza alcuna valenza di cambiamento: “le gravi crisi economiche, finanziarie e politiche non cesseranno fino a quando permetteremo che rimanga in letargo la responsabilità che ognuno deve sentire verso il prossimo ed ogni persona”, prosegue il messaggio di papa Francesco.

La vera sfida è quella di mantenere la capacità di lasciarci toccare da quanto avviene attorno a noi, di tendere la mano, di farci interrogare personalmente dalla presenza della povertà e della fragilità; ma di conservare e sviluppare un solido e lucido senso della realtà per cui i poveri non sono l’effetto necessario di dinamiche che prescindono dall’azione umana, ma il prodotto di scelte precise, e di meccanismi attraverso i quali alcuni abitanti del pianeta vengono mantenuti al di sotto di un livello di vita accettabile. Continua così il messaggio di Papa Francesco, che riflette sulla differenza tra le mani tese per aiutare gli altri, e “l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che differenza rispetto alle mani generose che abbiamo descritto [di coloro che durante la pandemia si sono spesi nell’aiutare gli altri]! Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano.”

Dunque la questione vera è sul ‘perché’ i poveri siano tali: gli esclusi, che secondo papa Francesco ‘continuano ad aspettare’. Quali sono i meccanismi che tengono insieme i poveri con coloro che rimangono indifferenti e che rifiutano di assumere la responsabilità dei propri atti? Quali sono le dinamiche in cui siamo attori, talvolta solo parzialmente consapevoli, e che contribuiscono ogni giorno ad approfondire il fossato che divide le società di tutto il pianeta? L’elemento da cogliere nel messaggio di papa Francesco per la giornata del povero è questa: non possiamo ritirarci nell’indifferenza: “Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete”

Le crescenti disuguaglianze sono una piaga del nostro tempo, un fenomeno che ha radici ben precedenti alla fase che stiamo vivendo, ma che in questa epoca di pandemia si sta aggravando in maniera drammatica. Il passaggio da fare è quello della responsabilità, diretta e indiretta, che noi abbiamo nel promuovere i meccanismi di disuguaglianza, o semplicemente di tollerarli, anche nel mondo del sociale che proprio in questo periodo si fa carico delle disperate richieste che provengono dalle fasce più fragili e vulnerabili, e che ha un urgente bisogno di fornire almeno qualche risposta.

Non si tratta però di rinchiudere la questione del cambiamento all’interno degli stretti confini del nostro comportamento personale, quasi che un singolo gesto possa sostituire la necessità del cambiamento di un sistema, che si ottiene anche attraverso una convinta pressione sui decisori; oppure la necessità di un vero cambiamento culturale; oppure la necessità di approfondire la comprensione di quei meccanismi per cui i poveri rimangono tali. Il richiamo alla responsabilità impone tutto questo, non un vago buonismo che si sostanzia esclusivamente in un singolo atto di solidarietà: da questo si deve partire, per poi coltivare dentro noi stessi una responsabilità e un’urgenza, più ampia, più esigente, più integrale.

Non è una domanda semplice. Ma possiamo sfruttare l’occasione offertaci dalla Giornata del Povero per porcela; forse senza la pretesa di darci risposte troppo semplici: in che cosa dobbiamo esercitare la nostra responsabilità rispetto ai meccanismi che generano e riproducono la povertà e le disuguaglianze? Quali sono le scelte che dobbiamo fare? Quali sono le cose a cui dobbiamo rinunciare?

Domande scomode forse. Ma necessarie.