Uno sguardo attento e consapevole nei riguardi del mondo che ci circonda non può passare che attraverso un riconoscimento delle disuguaglianze che flagellano l’umanità. Si tratta di un fenomeno radicato nelle società di tutto il mondo; fenomeno che rende difficile un reale progresso nelle condizioni dei più fragili e vulnerabili, e che ciclicamente si traduce in visibili manifestazioni di tensione. Molti analisti identificano in questa comune matrice, la causa profonda di numerosi focolai di tensione che si verificano anche in questi giorni in diversi paesi.

Occorre però chiedersi se l’aumento delle disuguaglianze rappresenti una tendenza ineluttabile oppure sia il frutto di scelte deliberate, e di un modello economico – oggi prevalente ma certamente non l’unico possibile sul pianeta. Su questo punto, Papa Francesco ha pronunciato ultimamente delle parole assai chiare:

“L’ingiustizia sociale naturalizzata” — ossia come qualcosa di naturale — e quindi resa invisibile — che ricordiamo e riconosciamo solo quando “alcuni fanno rumore in strada” e vengono rapidamente catalogati come pericolosi e molesti —, finisce col far passare sotto silenzio una storia di differimenti e dimenticanze. […] Un sistema politico-economico, per il suo sano sviluppo, ha bisogno di garantire che la democrazia non sia solo nominale, ma che possa vedersi plasmata in azioni concrete che veglino sulla dignità di tutti gli abitanti, secondo la logica del bene comune, in un appello alla solidarietà e un’opzione preferenziale per i poveri. […] Non c’è democrazia con la fame, né sviluppo con la povertà, né giustizia nell’iniquità.” (Papa Francesco, Vertice dei giudici panamericani sui diritti sociali e la dottrina francescana, 4 giugno 2019)

Sottolineare questi ‘differimenti e dimenticanze’ aiuta a puntualizzare che l’ingiustizia sociale risulta essere il prodotto di politiche adottate ignorando la voce dei poveri. Allo stesso modo, questo ci permette di chiarire che i fenomeni di disuguaglianza economica sono collegati strettamente a fenomeni di carattere sociale e politico; e a meccanismi che devono essere identificati e quindi contrastati. Tra gli ambiti in cui emergono con maggiore chiarezza gli elementi di tensione e contraddizione di un sistema che produce disuguaglianza e ingiustizia, senza riuscire a dare risposte ai bisogni di base delle fasce di popolazione più fragili e vulnerabili, c’è quello della produzione di cibo e dei sistemi alimentari.

Il perdurare del fenomeno della fame sul pianeta, e anzi l’aumento delle persone affamate per ben quattro anni consecutivi rappresenta senza alcun dubbio uno dei sintomi più importanti circa la necessità di un cambiamento radicale nel sistema economico globale. La FAO stima in 821,6 milioni il numero delle persone che hanno sofferto la fame nel 2018. tuttavia i parametri in base a cui questi calcoli vengono effettuati sono sembrati a molti fin troppo ottimistici.

Pertanto il conto di coloro che soffrono la fame potrebbe essere anche il doppio o il triplo di quanto rappresentato nelle statistiche ufficiali!

Osservare il fenomeno della fame concentrandosi solo sulle persone affamate è però un po’ come osservare il fenomeno della povertà senza chiedersi perché i poveri siano tali? È possibile curare il male della fame proponendo una ricetta basata sulla crescita economica, pur sapendo che tale crescita tende ad andare a beneficio delle fasce sociali più ricche molto più di quanto vada a risolvere i problemi della fame dei più poveri? Le statistiche più recenti dicono infatti che di tutta la crescita economica avvenuta tra il 1980 e il 2016, il 27% è andato a beneficio dell’1% della popolazione mondiale, e i ricchi più ricchi hanno visto i loro redditi e la loro ricchezza aumentare in modo assolutamente sproporzionato. Meno della metà del guadagno di questi ricchissimi, cioè il solo 12%, è andato a beneficio della metà più povera della popolazione mondiale. Ed è la FAO stessa ad ammettere ormai che le crescenti disuguaglianze nel mondo rappresentano un ostacolo nella risposta al problema dell’insicurezza alimentare cronica.

Osservare la questione della disuguaglianza in una prospettiva ‘di sistema’, prendendo i sistemi alimentari come punto di riferimento rappresenta un esercizio particolarmente significativo. Il cibo è infatti legato a doppio filo con ogni aspetto della vita sociale, e la sua storia tiene insieme il livello più locale con quello più globale: aspetti economici, culturali, sociali, politici, che interagiscono per generare effetti contraddittori e vere e proprie incongruenze. Il perdurare della fame sul pianeta si accompagna infatti ad altri fenomeni di segno opposto, come quelli legati allo spreco di cibo, che secondo la FAO ammonterebbe approssimati­vamente a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno. Si tratta di un’autentica montagna di cibo che viene prodotta e non consumata, contribuendo in modo importante all’esaurimento delle risorse del pianeta.

Di contro, mentre aumentano lo spreco di cibo e il numero degli affamati, aumenta anche il numero di coloro che soffrono di ‘sovranutrizione’. I fenomeni di obesità e sovrappeso sono infatti in crescita in molti paesi, con un conseguente incremento dei tassi di mortalità che da essi dipendono. Il fatto allarmante è che il tasso di obesità e sovrappeso sono in aumento in tutte le fasce di età, anche tra i bambini molto piccoli; ed in modo particolare tra i giovani e gli adolescenti, che saranno gli adulti di domani. Si tratta naturalmente di fenomeni a cui è necessario dare risposta. Ma è possibile trattare obesità e sovrappeso semplicemente come uno squilibrio nutrizionale tra gli altri, che richiede magari una risposta in termini tecnici? Non si tratta forse del sintomo di uno squilibrio più ampio, che deve ricevere una risposta rispetto ai meccanismi che generano tali fenomeni in termini così contraddittori?

La fame, lo spreco, la ‘sovranutrizione’ sono fenomeni del tutto contraddittori, ma sembrano invece perfettamente coerenti con un sistema economico globale costruito sulle disuguaglianze: il consumo elevato delle fasce più ricche della popolazione si basa sull’alienazione di risorse dalla disponibilità delle comunità locali; ed allo stesso tempo sulla produzione industriale di cibo a basso costo che soddisfa nell’immediato (ma in modo squilibrato) i bisogni alimentari della parte più fragile della popolazione, garantendo un elevato ritorno agli investimenti di chi tale cibo produce. In questo contesto lo spreco segnala una generalizzata inconsapevolezza del valore delle risorse a partire dalle quali il cibo è prodotto, con un prezzo che spesso non riflette neanche lontanamente il suo reale valore in termini sociali e ambientali. Pertanto lo spreco è il destino della sovrapproduzione di ciò che non serve a nulla se non ad aumentare il volume dei beni in circolazione, ma non vale nulla perché non costa nulla (anzi porta guadagno) a chi lo produce e lo distribuisce. I prezzi di approvvigionamento di questi beni da parte di chi li vende sono così bassi da consentire ancora un guadagno, scaricando sulla qualità nutrizionale, sui produttori e sull’ambiente il vero costo di questo meccanismo. Questa è la conclusione che si raggiunge ‘unendo i 5 punti’ tra i vari elementi che in prima battuta sembrano definire delle contraddizioni inspiegabili.

Come ho cercato di dire, il tema delle disuguaglianze è un tema fondamentale che deve essere compreso in una prospettiva economica, ma anche politica, sociale e culturale. Vediamo di fronte a noi le contraddizioni di un sistema che aumenta le distanze tra i più ricchi e i più poveri, dissipando le limitate risorse della nostra ‘casa comune’, e senza riuscire a migliorare le condizioni di vita delle persone più vulnerabili. La comprensione di questi meccanismi è la premessa per formulare delle proposte di cambiamento che, per essere efficaci, devono saper dare risposte di ‘trasformazione’ come ci ricorda Papa Francesco:

Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia. (LS194)

Una reale ‘conversione ecologica’ richiede questa consapevolezza; pertanto diminuire le disuguaglianze è l’unico modo per avviarsi su un cammino di sopravvivenza per il pianeta, dove la dignità e il diritto di ogni singolo essere umano sono valorizzati e promossi. Occorre perciò coerenza e determinazione, negli stili di vita, nelle scelte personali, in quelle comunitarie, e in quelle politiche, nazionali, europee e internazionali.

* Il testo qui pubblicato è un estratto della relazione tenuta durante il seminario «Povertà e diseguaglianze. Le prospettive internazionali di sviluppo sostenibile» (Roma, venerdì 8 novembre 2019) organizzato dall’Istituto Giuseppe Toniolo dell’Azione Cattolica Italiana (per consultare il programma dell’incontro clicca qui).