Troppo spesso nel dibattito pubblico si tende a dare quasi per scontato che la disuguaglianza sia in primo luogo una questione economica. Questa visione rischia di mettere in secondo piano la complessità del fenomeno che richiede risposte di ampio respiro. Esistono molte forme di disuguaglianza che riguardano almeno tre livelli: quello del trattamento, quello delle opportunità e quello della condizione.

La disuguaglianza di trattamento si manifesta nell’assenza di condizioni paritarie di accesso alla giustizia, nelle relazione tra generi e generazioni, nella mancanza di diritti agli immigrati, nel controllo inadeguato dell’evasione fiscale, nei diversi livelli salariali tra uomini e donne.

La disuguaglianza di opportunità la vediamo, ad esempio, nella chiusura degli ordini professionali, nella difficoltà di accesso al mercato del lavoro, nelle difficoltà di ottenere finanziamenti per una nuova impresa; nella possibilità di apprendere.

La disuguaglianza di condizione si evidenzia nei diversi trattamenti che lo Stato riserva a cittadini che dovrebbero essere invece uguali. Basti pensare ai differenti sistemi di welfare presenti nel nostro Paese con servizi notevolmente diversi, in termini qualitativi, nelle varie regioni.

È necessario, quindi, quando si parla di disuguaglianza riferirsi sia a quella sociale che a quella economica, vedendone le connessioni e affrontare questi tre livelli facendo attenzione alle differenze di trattamento, di opportunità e condizione che le persone si trovano a dover affrontare, e spesso subire, nella loro vita. Solo un’analisi di questo tipo consente infatti di dare ragione di un fenomeno sempre più complesso e articolato.

Papa Francesco dall’inizio del suo pontificato ha sottolineato con estrema lucidità e a più riprese, come la questione della riduzione delle condizioni di disuguaglianza e di povertà sia la nuova questione sociale che interpella tutte le coscienze e che chiede alla politica una risposta urgente, seria, complessa, globale.

Il 2 ottobre 2014, durante il discorso tenuto ai partecipanti della plenaria del Pontifico Consiglio della Giustizia e della Pace, Francesco ha affermato con chiarezza: “La crescita delle diseguaglianze e delle povertà mettono a rischio la democrazia inclusiva e partecipativa, la quale presuppone sempre un’economia e un mercato che non escludono e che siano equi. Si tratta, allora, di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà. Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ho voluto segnalare tre strumenti fondamentali per l’inclusione sociale dei più bisognosi, quali l’istruzione, l’accesso all’assistenza sanitaria e il lavoro per tutti”.

Ed è proprio questa la questione di fondo che va affrontata dalla politica, dai singoli governi, per restituire ai sistemi democratici le ragioni di fondo del loro agire: garantire i diritti e il bene di tutti i cittadini. L’esistenza di condizioni che determinano un costante aumento della disuguaglianze se non vengono affrontate, minano la sopravvivenza stessa della democrazia, o quanto meno portano ad una crisi di quei governi o partiti che secondo i cittadini non sono stati in grado di affrontare la questione della disuguaglianza, che non va dimenticato, è una questione di giustizia.

Da dove partire? Come iniziare a ridurre le disuguaglianze?

Dalle politiche di contrasto alle diverse forme di povertà. Con la pubblicazione del decreto legislativo n.147 del 15 settembre 2017, l’Italia ha per la prima volta nella sua storia una legge sulla povertà. Il Reddito di Inclusione (REI) è una misura unica nazionale di contrasto alla povertà che sostituisce il Sia (sostegno per l’inclusione attiva) e l’Asdi (Assegno di disoccupazione). Un buon punto di partenza ma la strada è ancora molto lunga. Ma qui non vogliamo parlare della povertà in termini generali e delle misure da adottare per contrastarla, ma della povertà che colpisce i minori anche sul piano educativo.

In questa chiave crediamo sia urgente, nella prospettiva di ridurre le disuguaglianze di opportunità, affrontare il tema della povertà minorile e quello della povertà educativa. La povertà minorile è un fenomeno con caratteristiche specifiche perché le conseguenze della povertà minorile sono diverse rispetto alla povertà che riguarda una persona adulta. Il tempo evolutivo della crescita di un bambino non è comparabile con quello di una persona adulta. Se si perde quel tempo, quella stagione della vita, è molto difficile recuperarlo.

La povertà minorile, relativa ad un privazione di risorse economiche, è spesso correlata – anche se non sempre – alla povertà educativa. Dove c’è una situazione di degrado, miseria è più facile che ci sia anche povertà educativa. Sono due aspetti che spesso si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione. Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, assistiamo a un’inversione di tendenza, i figli stanno peggio dei genitori. Abbiamo prodotto una società fortemente classista, dove il povero non ha i mezzi per uscire dalla propria condizione di vita e i suoi figli rischiano di vivere sempre in quella condizione.

La nozione di povertà educativa è stata introdotta da alcuni sociologi ed economisti alla fine degli anni ’90 per sottolineare che la povertà è un fenomeno multidimensionale che non può essere ridotto solo alla componente economica. L’idea è stata successivamente ripresa in un rapporto di Save the Children e porta avanti dall’impresa sociale Con i bambini (presieduta da Carlo Borgomeo) grazie al bando ministeriale, diventando così più familiare e per un pubblico più ampio.

Da notare come l’idea di povertà educativa è strettamente legata all’approccio delle capabilities sviluppato da Sen e Nussbaum: l’uguaglianza sociale richiede di promuovere la libertà individuale, intesa in senso positivo come opportunità di realizzare i propri progetti di vita. Questa opportunità richiede non solo risorse economiche, ma anche le risorse culturali necessarie alla realizzazione personale e alla piena cittadinanza.

In sintesi la povertà educativa può essere definita come la privazione per un minore (bambino e adolescente) della possibilità di apprendere, di sperimentare le proprie capacità e di sviluppare e far fiorire i propri talenti e aspirazioni. Quando parliamo di povertà educativa non parliamo quindi di povertà scolastica, di deficit di conoscenze e competenze o di dispersione scolastica, parliamo soprattutto di impossibilità o di difficoltà nello sviluppare le aspirazioni e i talenti dei bambini e dei ragazzi.

Ma come ridurre la povertà educativa? Quali strade percorrere?

La risposta è quella di costruire una comunità educante, che dia centralità alla famiglia, alla scuola (anche e soprattutto ai singoli insegnati) e a realtà studentesche presenti in essa, ma che deve essere composta da molti soggetti, realtà e figure che devono saper lavorare insieme. Pensiamo ai servizi per la prima infanzia, ai servizi sociali e sanitari e alle diverse figure educative presenti in essi, agli educatori e animatori presenti in parrocchia (dell’Azione Cattolica, degli oratori, degli scout) e agli allenatori sportivi. Si tratta di superare stereotipi e chiusure reciproche e lavorare tutti insieme per il bene dei ragazzi. Come diceva Danilo Dolci – sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza – “ciascuno cresce solo se sognato”. Dobbiamo aiutare i giovani a sognare, a sviluppare e coltivare i loro sogni per farli crescere nella consapevolezza dei loro mezzi, dei loro talenti. E sognare tutti insieme un futuro diverso soprattutto per i bambini e i ragazzi che hanno meno opportunità.    

Per concludere povertà e disuguaglianza sono fenomeni complessi, dalle caratteristiche molteplici. Non dipendono solo dalla congiuntura economica, ma hanno cause più profonde di tipo storico, culturale, sociale. E soprattutto va ribadito con chiarezza che le forme della disuguaglianza – che riguardano, come dicevamo in apertura, il trattamento, le opportunità e la condizione – vanno analizzate in modo complessivo adottando politiche che affrontino le diverse questioni – dalla scuola la lavoro, dalla povertà al welfare, dai differenziali retributivo ai divari territoriali, dall’evasione fiscale alla povertà educativa – in modo nuovo, con una visione che guarda al futuro, che comprende la gravità della posta in gioco. La disuguaglianza è la nuova questione sociale che tutti responsabilmente siamo chiamati ad affrontare. Partiamo da quella che colpisce i minori: il nostro futuro.