Il 3 marzo 2009, ben 12 anni fa, l’Italia recepiva la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Ad oggi sono 182 i Paesi che hanno sottoscritto il documento.  La Convenzione, come ben affermato recentemente dall’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (istituito con Legge n. 18 del 3 marzo 2009), impone il passaggio dal riconoscimento dei bisogni al riconoscimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Con la Convenzione la disabilità cessa di essere semplicemente una peculiarità soggettiva e diviene “il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”. Questo cambiamento di prospettiva offre nuove possibilità che prima, di fatto, erano negate: a partire dall’autonomia personale, la possibilità di prendere decisioni e compiere delle scelte, il rispetto della differenza e dello sviluppo delle capacità, le pari opportunità, ecc.  sono tutti esempi del cambio di paradigma avviato.

Ad oggi purtroppo non sembra che questo cambiamento sia andato tanto oltre le “buone intenzioni”. Basti pensare a quanto avvenuto durante la pandemia, momento in cui sono venute a galla le inadeguatezze del sistema di assistenza territoriale. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale appena citato sono stati circa 284.000 gli studenti e studentesse con disabilità esclusi dalle scuole e dalla DAD. Per quanto riguarda gli anziani, nelle residenze per non autosufficienti sono stati registrati tassi di mortalità anche superiori al 41%. Questi dati ci fanno capire come si debba e (soprattutto) si possa fare di più per adeguare il sistema di welfare del nostro Paese alle esigenze dei cittadini, soprattutto di quelli più fragili: la Convenzione non può rimanere lettera morta, c’è bisogno di uno sforzo collettivo a partire dalle Regioni, dove spesso la stessa è ampiamente disattesa.

Eppure, dei piccoli passi in questa direzione sono stati fatti. Ad esempio, il progetto personalizzato introdotto dalla 328/2000; il dopo di noi (l. 112/2016), il budget di progetto, solo per citare alcuni strumenti importanti del nostro welfare che però non sono stati ben recepiti dai sistemi di welfare regionali.

Attualmente con il PNRR, soprattutto nelle missioni 5 e 6, Inclusione e Coesione, Salute, abbiamo di fronte un’occasione unica per applicare concretamente il disegno tratteggiato dalla Convenzione. In particolare, la Missione 5 prevede l’avvio della legge quadro per la disabilità, che ha il fine esplicito di promuovere l’autonomia delle persone disabili e evitare l’istituzionalizzazione. Tale riforma sarà finanziata con il Fondo disabilità e non autosufficienza previsto dalla legge di bilancio 2020 (tra il 2021 e 2023, 800 mln di Euro). Agirà attraverso il “rafforzamento e la qualificazione dell’offerta di servizi sociali da parte degli Ambiti territoriali, la semplificazione dell’accesso ai servizi socio-sanitari, la revisione delle procedure per l’accertamento delle disabilità, la promozione dei progetti di vita indipendente, la promozione delle unità di valutazione multidimensionale sui territori, in grado di definire progetti individuali e personalizzati ex art. 14 Legge n. 328/00 e legge 112/2016, […] l’implementazione territoriale dei Punti Unici di Accesso per le persone con Disabilità (PUA) quali strumenti per la valutazione multidimensionale”.

Il PNRR prevede anche un investimento di 0,50 mld di Euro (Percorsi di autonomia per persone con disabilità) per aumentare i servizi domiciliari. Inoltre, al fine di migliorare l’autonomia delle persone disabili e vulnerabili, saranno acquistati e forniti dispositivi ICT e sarà anche dato loro supporto digitale per creare nuove competenze, in modo da aumentarne l’occupabilità e le possibilità di lavorare da remoto.

Il PNRR prevede anche altri numerosi interventi in grado di migliorare la vita dei nostri concittadini; esso esprime la volontà di andare nella direzione indicata dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, di calarla tra le pieghe del nostro welfare state, che troppo spesso riduce la persona con disabilità a mero caso medico/clinico, non in grado di prendere decisioni e fare scelte.

Tuttavia, il PNRR sarà veramente un’opportunità solo se ognuno di noi farà la sua parte: le riforme previste e gli investimenti non si realizzeranno da soli, al contrario dovremo dare il nostro contributo in termini di co-programmazione, di co-progettazione, ma soprattutto di presidio, monitoraggio e valutazione.

Nel 2022, come indicato dal Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, potremo offrire la nostra esperienza e indicare tutti quei cambiamenti che riterremo utili per migliorare il Piano. Ma questo potrà avvenire soltanto se il Governo saprà ascoltare la società civile e se quest’ultima, anche in futuro, sarà messa nelle condizioni di conoscere, esplorare e analizzare i dati. Auspichiamo, dunque, che l’apporto della società civile venga accolto dal tavolo permanente di partenariato economico sociale e territoriale e, eventualmente, dalla cabina di regia istituita presso la Presidenza del Consiglio. Ci auguriamo altresì che anche le proposte provenienti dalle reti associative vengano prese nella giusta considerazione dal Governo, in modo da realizzare fattivamente quanto sottoscritto nel lontano 3 marzo del 2009.

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