Con Sabir2021 si è giunti alla settima edizione del Festival delle culture del Mediterraneo. Si è cominciato a Pozzallo nel lontano 2014, per approdare per la seconda volta a Lecce, nei giorni 28-30 ottobre in una versione ancora un po’ ibrida (da remoto e in presenza contingentata), dopo l’edizione 2020 nel “non luogo” dell’etere.

Il Festival è un importante appuntamento organizzato da un ampio ventaglio di organizzazioni della società civile che di anno in anno, viene rilanciato, arricchito e innovato nei contenuti e nelle persone/reti coinvolte. Di fatto l’evento rappresenta una delle poche iniziative in Italia e in Europa in cui si prova a tenere aperto uno spazio di dibattito sulle questioni migratorie e di inclusione, con l’intento di fare una sintesi e di elaborare delle proposte. Sabir è infatti un appuntamento multiculturale e multiforme in cui è possibile partecipare a eventi culturali, formativi e politici, tre momenti che si intersecano e che sono l’uno propedeutico e necessario all’altro. Nella fase storica che stiamo vivendo, Sabir assume un connotato ancor più urgente. Non sfugge a nessuno che nell’ultimo anno la situazione delle persone “del mondo di sotto” sia sensibilmente peggiorata, soprattutto per quanto attiene la garanzia dei diritti fondamentali, tra cui quello di spostarsi liberamente. Per questo motivo, i tre fuochi su cui Sabir2021 si è concentrato sono: la crisi dell’Afghanistan e la reazione dell’Italia e dell’Unione Europea. La tragedia afghana ci ha posto ancora una volta dinanzi ai limiti e alle contraddizioni di un’Europa sempre più lontana dai principi a cui si è ispirata quando è nata. La sua chiusura nei quattro punti cardinali è emblematica: in Europa non si entra, da nessuna parte. Per quanto tempo ancora la disperazione e la morte di centinaia di persone – sulle rotte terrestri e marine – possono passare nella totale indifferenza di politici e cittadini? Non si tratta più di fatti episodici, ma di una spaventosa ordinarietà che è tempo di affrontare con serietà e coraggio mediante lo strumento dei corridoi umanitari, la condivisione di responsabilità fra i Paesi dell’UE e la diffusione di una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione che sia espressa nei fatti e non solo nelle parole; il lavoro. La cultura dell’inclusione si gioca però anche all’interno dei nostri confini, con la lotta allo sfruttamento lavorativo e all’odiosa piaga del caporalato. In questa edizione si ritorna, cioè, ad affrontare i diritti negati: non solo il diritto ad avere un lavoro, ma ad avere un buon lavoro e a non essere sfruttati: 180mila persone sono ancora a rischio sfruttamento, soprattutto nel settore della filiera agroalimentare e nonostante gli sforzi politici per arginare il fenomeno, molto resta ancora da fare; la cura. Legata al lavoro si apre un ulteriore declinazione dei diritti, il diritto alla cura. In Italia abbiamo fatto ottimi numeri sui vaccini e se ne vedono i benefici. Ma per molti migranti la pandemia è stata particolarmente dura: dallo stigma di essere untori, alla difficoltà di accedere al vaccino. Tuttavia, c’è un’altra questione che preoccupa e che mostra tutta la miopia del ricco Occidente. Impensierisce – da un punto di vista sanitario, ma soprattutto etico – che nel mondo quasi il 75% di dosi di vaccino siano state somministrate in soli 10 paesi. Se la pandemia vuole dunque essere davvero superata, occorre che l’Unione Europea, insieme a tutti gli organismi internazionali faccia ogni possibile sforzo per un accesso equo e globale ai vaccini.

L’auspicio, provando a trarre qualche insegnamento dalla tragedia del Covid19, e che in un mondo che si fa sempre più interconnesso, anche per via di una maggiore mobilità umana, dal Festival delle culture Mediterranee nascano e si rafforzino proposte politiche e progetti di accoglienza che antepongano la via umana a quella degli egoismi nazionali. Per le Acli, Sabir è stata senz’altro anche l’occasione giusta per raccogliere gli appelli di Papa Francesco sui migranti affinché nel mondo e in Europa si promuova un nuovo umanesimo planetario capace di riporre al centro la vita di ogni donna e di ogni uomo.

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