Il 29 luglio 2013 veniva rapito a Raqqa in Siria p. Paolo Dall’Oglio, gesuita, fondatore e animatore del monastero di Mar Musa, simbolo della resistenza e della riconciliazione in questa  martoriata terra. 

Lo ricordano le sorelle di Paolo, Cecilia e Francesca. Cecilia ci dice: «In questi anni lavoro al Movimento Cattolico Mondiale per il Clima, e per me il modo migliore di ricordare Paolo e farlo nel mio lavoro. La tenda di Abramo, la mistica dell’ospitalità: due iniziative del Movimento di questi mesi, io idealmente le ricollego  alla vita di Paolo, sempre alla ricerca di quella spiritualità che desse linfa alla vita di tutti i giorni, in un contesto di accoglienza e di fratellanza. Questo è stato Paolo: mistica, accoglienza, fratellanza praticata ovunque abbia messo piede, dalle periferie romane fino a Mar Musa». Le fa eco la sorella Francesca: «Non finiremo mai di aspettarlo, non abbiamo certamente perso la speranza che sia vivo. Come tutti gli anni in occasione del giorno del suo rapimento o del suo compleanno (17 novembre) noi come famiglia ravviviamo l’impegno a favore della sua liberazione. Siamo stati ricevuti da Papa Francesco alla vigilia del suo viaggio ad Abu Dhabi, abbiamo l’interessamento del presidente Mattarella e delle istituzioni italiane con la dott. Belloni, il governo Usa ha destinato la cifra  di 5 milioni di dollari a chi fornisce elementi utili per ritrovarlo».

Chi era, Francesca, suo fratello? «E’ sempre stato una persona speciale, noi continuiamo al presente perché lo consideriamo ancora in mezzo a noi. Anche da giovane si distingueva in famiglia, quarto di otto fratelli. A 17 anni ha voluto andare a lavorare d’estate in un cantiere nautico nel litorale romano, prima di entrare in noviziato  nel 1974 Paolo scelse di vivere un tempo alla Magliana, allora quartiere non certo facile, aiutando una signora anziana e sola. E’ stato un fratello  ma anche testimone della riconciliazione possibile e di tenacia nel portare avanti i propri ideali. Ricordando p. Paolo ricordiamo anche tutte le migliaia di siriani scomparsi allo stesso modo di Paolo o uccisi dalle bombe di una guerra assurda e senza senso».

P. Paolo è nato a Roma nel 1954. Nel 1974 entra nel noviziato dei gesuiti, studia prima a Roma poi in Libano. Nel 1982, durante un  pellegrinaggio in Siria, arriva a Mar Musa nel deserto a nord di Damasco, sui ruderi di un monastero cattolico siriaco costruito nel XI secolo. Nel 1984, dopo essere diventato sacerdote, decide- d’accordo con i suoi superiori- di trasferirsi a Mar Musa per ricostruire il monastero sia nella parte di muratura, sia come comunità religiosa. Nel 1992 nel monastero apre la comunità Al-Khalil -che significa l’amico di Dio, il patriarca Abramo- che  fin dai suoi inizi promuove il dialogo islamico-cristiano. p. Paolo appoggia i movimenti giovanili delle primavere arabe che nel 2011 anche a Damasco interpretano con manifestazioni di piazza il malumore della società civile contro il governo sempre meno aperto al cambiamento. Il governo siriano si sente attaccato da questo sacerdote straniero che attira nel deserto giovani e meno giovani cristiani e musulmani. Ne decide l’espulsione alla quale p. Paolo si oppone con tutte le forze, scrivendo  anche a Kofi Annan, l’allora segretario generale della Nazioni Unite. Ma è tutto inutile: nel giugno 2012 lascia la Siria ma non la regione, rifugiandosi a Sulaymaniyya, nel Kurdistan, a accolto dai monaci  di Deir Maryam el Adhra. Nel giugno 2013 rientra in Siria a Raqqa, ma la sua permanenza dura poco. Viene rapito il 29 luglio. Dai chi?, per quale motivo?, lo hanno ucciso, è vivo? Le voci si rincorrono da 8 anni. Un gruppo estremistico vicino ad Al Quaeda ha rivendicato il rapimento, un sito arabo il 12 agosto 2013 ha dato la notizia della morte, ma nessun gruppo terroristico ha mai confermato la morte. «Teniamo i piedi per terra e aggrappati alla realtà», continua Francesca, «ma noi lo sentiamo vivo più che mai!».