Intervista a Paolo Trevisanato, volontario del VIS.

Paolo Trevisanato, veneziano, lavora  a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, in un progetto dei salesiani: è il Patio don Bosco, un centro di recupero per bambini e ragazzi che vivono situazioni difficili di abbandono e violenza.

Paolo, raccontaci questo centro.

Questo che vedete è il Patio don Bosco, dove accogliamo fino a 40 bambini e bambine che hanno  vissuto grandi rischi sociali. L’autorità pubblica che gestisce queste situazioni è la defensoria del niño y adolescentes: gli  assistenti sociali prendono in mano le denunce e la prima forma di protezione è portare il bambino in un centro come questo. Di solito intervengono su segnalazione dei vicini o raccogliendo questi bambini direttamente sulla strada, dove spesso si trovano a vivere.

Quanto tempo rimangono al Patio?

Dovrebbero rimanere 30 giorni, il tempo stabilito dalla legge per trovare una sistemazione nella famiglia allargata o in una casa di accoglienza strutturata per tempi lunghi. Ma si fermano sempre di più di questo tempo: spesso si fermano mesi, qualcuno qualche anno. Gli assistenti sociali cercano informazioni su parenti per sondare la possibilità di reinserimento del bambino o bambina nella famiglia allargata, ma spesso le condizioni destrutturate della famiglia non riguardano solo i genitori naturali, ma anche i parenti. E quindi si opta per la casa di accoglienza, ma  ce ne sono poche e tutte super affollate. Per questo i tempi di permanenza in strutture di prima accoglienza come la nostra  si allungano non di poco.

Che bambini e bambine  arrivano?

Arrivano bambini e bambine che hanno subito violenze  fisiche e sessuali, oppure negligenza estrema nella cura: arrivano da situazioni famigliari disastrose, da  povertà estreme, non solo materiali. Molto spesso sono vittime di lavoro minorile da parte di terzi o dei loro stessi famigliari che li mandano in strada per chiedere denaro o vendere prodotti, oppure sono inseriti in piccoli lavoretti informali per i quali ricevono un misero salario. Questi bimbi hanno visto e sofferto violenze di ogni tipo  e soprattutto la mancanza di amore da parte dei genitori, della  famiglia, degli adulti con quali hanno vissuto, e sono desiderosi di ricevere amore.

Ci sono bambini frutto del triste fenomeno della  tratta di persone?

La tratta e il traffico di adolescenti qui in Bolivia si è trasformata in una emergernza sociale e le autorità non stanno dando soluzioni concrete. La tratta è un problema tragico, la società civile si sta organizzando con reti di comunicazione e gruppi dove si può denunciare la  sparizione ma non si sa che fine facciano e a cosa siano esposti.  La tratta va certamente ad alimentare la violenza sessuale, l’utilizzo commerciale delle persone e il traffico scandaloso di organi. Appena aperta questa casa di prima  accoglienza per bambini e adolescenti in situazioni di strada – allora funzionava solo di notte- accoglievamo bambini che arrivavano da situazioni tragiche in cui erano state vittime di traffico di organi: arrivavano ancora vivi, con  i segni dell’operazione appena avvenuta, con la canula che usciva dalla pancia… abbiamo vissuto momenti veramente tragici. Le autorità pubbliche ci hanno lasciato a noi stessi, non sapevamo cosa era realmente  successo a questi bambini. Adesso non ci arrivano più queste situazioni.  Non certo perché il traffico è diminuito, anzi, il fenomeno si è aggravato ed è diventato ancora più crudele e disumano. Mentre un tempo riconsegnavano il bambino o la bambina con segni evidenti dell’operazione ma ancora vivi, adesso la rete criminale che gestisce questo ignobile traffico non può più permettersi di rimettere sulla strada potenziali scandali che possono accendere i riflettori sul giro. Meglio risolvere la faccenda in altro modo. Immaginate voi quale… Il fenomeno della sparizione di bambini e bambine in Bolivia ha dimensioni gigantesche.

Di cosa ha bisogno il bambino che arriva da voi?

Di amore, innanzitutto. È emozionante vedere come ai bambini e alle bambine  ritorna il sorriso solo dopo pochi giorni che condividono la loro esperienza qui con educatori e le persone che li accompagnano. La psicologa, l’ assistente sociale, l’equipe educativa del centro  lavorano innanzitutto per realizzare un contenimento emozionale.  Non si comincia con una  terapia psicologica, innanzitutto si tratta di accompagnarli ad  incontrare un ambiente felice dove possono tornare ad essere bambini e realizzare il sogno di poter vivere una vita da bambini nel gioco, nello studio, con persone che  gli vogliono bene. Il gioco è una delle attività principali qui  a Patio don Bosco: patio vuol dire cortile, quello che  don Bosco utilizzava per avvicinare i ragazzi. Qui i ragazzi scoprono il gioco  partecipativo, dove primeggia il rispetto dell’altro assieme alla dimensione del divertimento: molti di questi bambini non sono mai stati né a scuola, né all’asilo, non hanno mai vissuto momenti di gioco strutturato,  condiviso con altri. Qui assieme alle regole del gioco, imparano a divertirsi  in maniera sana. E a condividere tra pari.